L'intervista

L'idea di Giò Giacobbe: "Una pelle derivata dal legno per cambiare il mercato del fashion"

Dalle polveri di legno ricavata una pelle ecocompatibile.

L'idea di Giò Giacobbe: "Una pelle derivata dal legno per cambiare il mercato del fashion"
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Giò Giacobbo è un giovane imprenditore che fa della ricerca nel settore del fashion il suo punto di forza.

"Pelle derivata dal legno per cambiare il mondo del fashion", l'idea di Giò Giacobbo

«Abbiamo creato un’alternativa alla pelle animale con le polveri del legno e un tacco per scarpe biodegradabile. Facciamo della ricerca il nostro punto di forza, offrendo servizi di eco-design trasformazione, calcoli e riduzione di Co2, ma soprattutto abbiamo l’ambizione di cambiare l’uno per cento del mercato del fashion, che vale circa 450 miliardi di fatturato all’anno».
A parlare è Giò Giacobbe, 41 anni, fondatore della startup “Anything Can Be Changed” (Acbc) punto di riferimento per la consulenza green nel settore del “business to business” (ovvero quelle aziende che vendono prodotti o servizi ad altre aziende, invece che direttamente ai consumatori finali).

La quotazione di Forbes tra i Top Italian Manager

Originario di Sanremo, ma ormai trapiantato a Milano per ragioni professionali, questo giovane imprenditore è stato quotato da Forbes tra i Top Italian Manager, confermandolo come una delle menti più brillanti dell’ecosistema delle imprese.

«Mi sono laureato in economia aziendale all’università Bocconi di Milano a soli 20 anni. Dopo i primi anni in società di consulenza fiscale, mi sono trasferito a Berlino, ho prestato servizio due anni nell’azienda chimica Basf e tornato in Italia ho lavorato in Tommy Hilfiger. A 24 anni ho avuto la fortuna di ricoprire l’incarico di general manager per l’Italia. A seguire mi sono spostato in Svizzera, presso Acer Computer, e lì ho gestito la prima divisione come manager Enea (Europe Middle East e Africa, ndr) dello smartphone. Stavamo studiando un cellulare con touch screen, che si candidava ad essere il primo competitor dell’IPhone, ma la divisione cellulari non ha avuto il successo sperato. Mi sono così trasferito per sei anni in Cina, prima come direttore generale di Peuterey, poi come ceo di Trussardi per tutta l’Asia».

Nel 2018 nasce il progetto “Anything Can Be Changed”, dall’inglese “tutto si può cambiare”

«Quell’anno ho fondato Acbc srl, società di consulenze e sostenibilità per la moda, che in meno di un anno è stata riconosciuta come ‘Most valuable start up’, e sono tornato in Italia, dove ho ricoperto la carica di amministratore delegato di Triboo Spa, società quotata in ambito digitale, nonché primo investitore di Acbc. Oggi contiamo 55 collaboratori, abbiamo un fatturato di circa 20 milioni e supportiamo oltre150 brand internazionali, da Cloè a Geox, da Panerai a La Martina, Missoni e altri ancora. Li supportiamo nella trasformazione di prodotti a più bassa emissione di inquinanti e nell’adottare pratiche produttive innovative. Grazie alla sua esperienza e al suo approccio su misura, l'azienda non solo fornisce soluzioni sostenibili, ma accompagna le imprese nella transizione verso un futuro più green, dimostrando che la sostenibilità può diventare un driver di crescita e innovazione anche nel mondo B2B».

La vostra mission è di cambiare l’uno per cento del mercato del fashion, ma in che modo?

«Proponendo i nostri servizi a qualsivoglia prodotto, che deve impattare di meno rispetto al precedente. Se ogni paio di scarpe in pelle, ad esempio, emette circa venti chilogrammi di Co2, noi dobbiamo lavorare per fare in modo di abbattere almeno del quaranta per cento questo valore. Come? Tramite l’innovazione dei materiali e l’abbattimento di inquinanti nelle fabbriche. Lavoriamo solo al servizio di altre ditte e per dare un po’ l’idea della notorietà del brand, inserisco la garanzia che il prodotto è stato realizzato in modo sostenibile».

Come ha avuto inizio il tutto?

«Con una innovazione: una scarpa con una zip che consentiva di intercambiare la suola e la parte superiore, la tomaia, nel momento in cui una delle due si fosse consumata. Era la cosiddetta Zip Shoe».

Quali sono le vostre prospettive nel più breve periodo?

«Ora lavoriamo a Milano. L’ambizione di quest’anno è di aprire tre filiali all’estero: in Germania, Spagna e Francia, portando l’organico da 55 a 70 persone, che lavorano nei campi della ricerca e dello sviluppo, commerciale e amministrativo. Puntiamo a diventare la più grande realtà europea in ambito di consulenza di prodotto sostenibile. Vorrei anche sottolineare che la nostra metodologia, nel 2025, sarà ampliata anche ad altre industrie come il food, l’automotive, e il lifestyle».

Un sogno nel cassetto?

«Trovare una soluzione, anche tramite processi chimici, per ridurre la plastica nei mari, che è tangibile e visibile da parte di tutti».

Qual è il punto di forza di Acbc?

«L'azienda non si limita alla creazione di prodotti sostenibili, ma offre un'ampia gamma di servizi di consulenza che supportano le imprese nel raggiungimento di obiettivi ambiziosi di sostenibilità, come l'ottenimento di certificazioni ambientali e l'ottimizzazione dei processi produttivi. Attraverso un metodo scientifico rigoroso per il calcolo della product carbon footprint, Pcf, conforme al protocollo sui gas serra. Acbc aiuta le aziende a misurare e ridurre l'impronta ecologica dei propri prodotti. I dati utilizzati provengono da fonti attendibili, come database scientifici e informazioni interne, garantendo una valutazione precisa e trasparente dell'impatto ambiental».

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