Cultura

“Sono una traghettatrice di libri”: l’intervista alla traduttrice italiana del Nobel per la Letteratura 2025

«A una delle prime presentazioni italiane di “Satantango”, nella quale gli facevo da interprete, una signora chiese all’autore dei chiarimenti circa una frase molto lunga del testo. Krasznahorkai rispose che il libro italiano era stato scritto interamente da me, che ero io l’autrice effettiva di ogni singola parola che il volume italiano conteneva, che ero stata io a mettere quelle frasi nero su bianco e quindi era me che la signora avrebbe dovuto interrogare su quella frase. Ovviamente la cosa mi fece molto piacere. Allo stesso tempo, però, mi si gelò il sangue: pur essendo consapevole che la legge definisce i traduttori editoriali come autori dei testi tradotti, fino a quel momento non mi ero resa conto appieno della responsabilità che gravava sulle mie spalle!».

“Sono una traghettatrice di libri”: l’intervista alla traduttrice italiana del Nobel per la Letteratura 2025

Donna di cultura, letteratura e non solo, Dora Varnai è la traduttrice del Premio Nobel per la Letteratura 2025, Laszlo Krasznahorkai. Vive a Milano e racconta le sue passioni, le sue letture e il rapporto con il suo mestiere.

Qual è stato il suo percorso professionale?

«Dopo la laurea all’Università di Bologna Dams – Spettacolo, ho svolto per diversi anni vari lavori in ambito culturale: organizzatrice teatrale, collaboratrice di festival, addetta all’ufficio stampa. Inoltre ho lavorato all’Istituto Italiano di Cultura di Budapest, all’epoca diretto da Giorgio Pressburger. Pressburger, sapendo che avevo già pubblicato qualche articolo e qualche traduzione, mi affidò una parte del lavoro redazionale della rivista bilingue edita dall’Istituto. Iniziai così a occuparmi più seriamente di traduzione editoriale, che in seguito è finita col diventare il mio lavoro a tempo pieno».

Quando nasce l’amore per la letteratura?

«Ho sempre avuto una certa familiarità con l’oggetto libro. In casa di libri ce ne sono sempre stati molti: mio padre era piuttosto orgoglioso della sua biblioteca, a cui, sin da piccola, avevo libero accesso. Spesso era lui a consigliarmi delle letture, e altrettanto spesso mi portava in biblioteca o in libreria a fare nuove scoperte. Da ragazzina e poi adolescente, incuriosita dalle discussioni dei miei sulle loro ultime letture, e desiderosa di prendervi parte, mi affrettavo a leggere i libri di cui li sentivo parlare».

Quando ha deciso che voleva diventare una traduttrice?

«In realtà mai! Da bambina non dico che volessi fare l’astronauta, ma ero sicuramente affascinata prima dalla ricerca matematica (senza nemmeno aver ben chiaro in che cosa consistesse), mentre più avanti, dato il mio amore per il cinema e il teatro, sognavo di fare la regista. Però lo studio delle lingue e della letteratura, e in particolare delle mie due lingue madri, ungherese e italiano, e delle rispettive letterature, ha sempre fatto parte della mia vita, così come la traduzione, inizialmente tecnica, poi editoriale. Oggi mi sembra di poter dire che tutti gli altri interessi e studi abbiano contribuito a farmi acquisire una formazione a tutto tondo, che tutte quelle curiosità abbiano facilitato lo sforzo di “calarmi nella parte” dei vari autori e personaggi che mi trovo a tradurre».

Cosa significa tradurre? Come si fa a “dire la stessa cosa in un’altra lingua”?

«Sulla traduttologia si possono ormai trovare biblioteche intere, non si contano gli studi e le teorie: da quelle relative alla descrizione del processo di traduzione, a quelle che analizzano l’utilizzo della traduzione scritta, l’interpretazione, la localizzazione o la transcreazione. Per me, l’immagine più efficace resta quella del traghettatore che deve guidare la barca, spingendola da una riva all’altra».

E’ un mestiere che consiglierebbe a un giovane? Tornasse indietro lo sceglierebbe ancora?

«Non saprei, perché con lo sviluppo delle tecnologie, dai programmi di traduzione automatica all’utilizzo dell’IA, non solo si sono inevitabilmente ristretti gli spazi lavorativi, ma stiamo assistendo a cambiamenti sociali e culturali molto estesi e radicali, non sempre positivi, e non solo riguardo all’uso della lingua e delle lingue, ma anche riguardo al valore che si dà alla comunicazione, e quindi alla letteratura. Se comunque un giovane oggi fosse interessato a questo lavoro, il primo consiglio che gli darei è di iscriversi a Strade, associazione e sindacato dei traduttori editoriali, che oltre a portare avanti un grande lavoro per il riconoscimento della nostra professione, offre anche tanti ottimi strumenti a chi voglia cimentarsi nella traduzione a livello professionale avendo ben chiari i propri diritti e le proprie possibilità».

Qual è il primo libro tradotto? Quello che ha amato di più tradurre?

«Dopo vari racconti e testi teatrali, il primo romanzo che ho tradotto in italiano è stato “Guerra e guerra” di László Krasznahorkai. Mi era piaciuto tantissimo, l’avevo letto non appena uscito in Ungheria, e avevo subito iniziato a lavorarci, sperando di vederlo pubblicato un giorno. Per varie vicissitudini editoriali la versione definitiva uscì solo molti anni dopo, quando avevo già tradotto altri libri, ma è quello il lavoro che più mi è rimasto nel cuore».

Il libro che vorrebbe tradurre?

«Ce ne sono tantissimi che mi piacerebbe proporre agli editori italiani! Classici, contemporanei, libri per ragazzi, difficile sceglierne uno solo… Un progetto particolare, che sto portando avanti da anni e che mi piacerebbe molto si concretizzasse in un volume, è un’antologia di testi teatrali ungheresi: la drammaturgia ungherese degli ultimi decenni è molto viva, sfaccettata, interessante. Al momento sono riuscita a far conoscere solo pochi testi, in parte attraverso la rete Eurodram, con cui collaboro, come Quartetto di György Spiró, non solo autore di punta del teatro magiaro, ma anche importante romanziere, e traduttore a sua volta da varie lingue est-europee, oppure Il girocane di Andrea Pass, autrice e regista di un teatro “giovane” e mai banale».

Italia e Ungheria: qual è il suo rapporto con questi due Paesi oggi?

«Una volta durante un lungo viaggio in treno tra Milano e Budapest un signore mi chiese dove stessi andando. Gli risposi che stavo tornando a casa. E da dove venivo? – fu la domanda successiva. – Da casa. Anni dopo lessi un bellissimo saggio di Ágnes Heller sul concetto di “casa” e da allora so che in realtà la mia casa è dove sta la mia cagnolina, a prescindere che la mia famiglia in quel momento si trovi in Ungheria, a Budapest o sul Danubio, o in Italia, a Milano o in visita ai parenti nelle Marche».

Cosa ha pensato quando Krasznahorkai ha vinto il Nobel? Lo ha sentito anche un poco suo?

«Ero e sono molto contenta! Krasznahorkai è un grandissimo autore e questo premio è più che meritato – anche se lui stesso l’ha definito beckettianamente “una tragedia”. Certo, le numerose traduzioni delle sue opere in varie lingue del mondo hanno contribuito a far conoscere l’autore, a farlo arrivare non solo a migliaia di lettori, ma anche al comitato che assegna il premio Nobel, che altrimenti non avrebbe potuto leggere e valutare il suo lavoro. Sono quindi fiera di aver potuto dare la mia piccola spinta alla sua barca per facilitarne la traversata».

Ha un aneddoto che possiamo raccontare su di lui o “con” lui? Il complimento che le ha fatto più piacere?

«A una delle prime presentazioni italiane di “Satantango”, nella quale gli facevo da interprete, una signora chiese all’autore dei chiarimenti circa una frase molto lunga del testo. Krasznahorkai rispose che il libro italiano era stato scritto interamente da me, che ero io l’autrice effettiva di ogni singola parola che il volume italiano conteneva, che ero stata io a mettere quelle frasi nero su bianco e quindi era me che la signora avrebbe dovuto interrogare su quella frase. Ovviamente la cosa mi fece molto piacere. Allo stesso tempo, però, mi si gelò il sangue: pur essendo consapevole che la legge definisce i traduttori editoriali come autori dei testi tradotti, fino a quel momento non mi ero resa conto appieno della responsabilità che gravava sulle mie spalle!».

Immagino sia una lettrice… cosa ama?

«Sono una lettrice curiosa e onnivora, leggo di tutto. La mia passione per il teatro mi porta a leggere molti drammi, mi piacciono i racconti brevi, ma leggo anche molti fumetti, gialli, libri per ragazzi, romance… Seguo soprattutto autori italiani e ungheresi, ovviamente, ma mi interessano anche i mondi lontani: dal Giappone, perché lo conosco un po’ (ci ho vissuto un anno da universitaria), all’Africa, proprio perché la conosco pochissimo. Ma forse lei voleva qualche consiglio riguardo alla letteratura ungherese? I nomi contemporanei più importanti, e già in parte tradotti, che mi sento di suggerire ai lettori italiani, oltre ovviamente a Krasznahorkai, sono senza dubbio Imre Kertész, precedente premio Nobel ungherese (nel 2002), e i due Péter: Esterházy e Nádas, entrambi autori che sono stati spesso citati come possibili vincitori dello stesso premio per la qualità della loro scrittura. Un po’ più giovane di loro, e dallo spirito molto ungherese, è László Darvasi, che ho avuto la grande gioia di poter tradurre per il Saggiatore: un autore che può passare dai racconti brevi ai romanzi fiume, dalla cifra quotidiana ben radicata nella realtà magiara, a quella epica storica e fantastica. Tra i nomi ormai classici consiglierei i romanzi di Magda Szabó, i racconti di István Örkény, oppure titoli purtroppo rimasti singoli come “Viaggio intorno al mio cranio” di Frigyes Karinthy, tradotto da Andrea Rényi, “Il viaggiatore e il chiaro di luna” di Antal Szerb, tradotto da Bruno Ventavoli, o il bellissimo “L’ombra del serpente” di Zsuzsa Rakovszky, nella traduzione di Laura Sgarioto, traduttrice anche del recentissimo “A proposito di Casanova”, di Miklós Szentkuthy. Per i bambini più piccoli, invece, ho visto che è uscito, sempre da pochi giorni, “Gianningegno” di Noémi László (traduzione di Claudia Tatasciore), mentre per la fascia scolastica delle elementari consiglierei la splendida antologia “C’è una fiaba anche per te”, che ha fatto molto discutere in Ungheria (con tanto di reazioni politiche scomposte), ma che contiene testi splendidi e divertenti, e che in Italia è uscita per la Bompiani (traduzione mia)».

Oltre alla professione, ha hobby o passioni?

«Come ho già accennato, mi piacciono il teatro, la danza, il cinema, ma anche la natura e gli animali: nel tempo libero sto frequentando alcuni corsi con la speranza di ottenere prima o poi la qualifica di educatore cinofilo, e se per qualche motivo dovessi tornare indietro nel tempo di sicuro studierei etologia in maniera più approfondita».