Il personaggio

“La mia, una vita tra set e palco”: l’intervista a Giorgio Pasotti

L'intervista al celebre attore, scrittore e regista Giorgio Pasotti.

“La mia, una vita tra set e palco”: l’intervista a Giorgio Pasotti

Una vita tra set e palco. Una professione che si è sviluppata con una precisa linea di intenti e di pensiero. Una linea seguita sia da attore, sia da regista, sia da direttore di un teatro stabile, sia da scrittore. Giorgio Pasotti è fresco di debutto come regista di un’opera lirica, «La Traviata» di Verdi, in scena al Teatro Coccia di Novara dal 26 al 28 settembre, «una città che è diventata quasi casa» dice.

La Traviata è stata la sua prima regia di un’opera lirica: come procede il lavoro?

«Molto bene, grazie a una forte comunità d’intenti con il doppio cast. E poi con il team creativo: Anna Biagiotti, Italo Grassi, Luca Attivi hanno lavorato talmente tanto nel settore e mi hanno coccolato come fanno solo i genitori al ritorno a casa del figlio a Natale, che dal punto di vista umano e professionale è tutto semplice anche se di semplice non vi è nulla in questo mestiere. Grazie al direttore del teatro Corinne Baroni, che ringrazio perché ha creduto in me, ho avuto totale libertà e margine d’azione. E non è scontato, soprattutto quando si tratta di un debutto che rappresenta un triplo salto mortale. Il lavoro sta procedendo in maniera piacevole e costruttiva. Ho spiegato a tutti ciò che voglio».

E cosa vuole in qualità di regista?

«Una Traviata passionale, che rispetti Verdi nelle intenzioni più intime. Occorre essere al servizio dell’opera, un passo indietro, indicando piccoli gradi di direzione. L’impostazione è romantica come suggerisce l’autore. Vi è bisogno di sentimenti netti, consapevoli, forti, incisivi, che arrivino al pubblico».

Come lavora?

«Il mio modo non è il più simpatico in circolazione. Non dico che gli attori arrivino a odiarmi ma… Pretendo scene precise, sia che si parli di attori di prosa sia che sul palco ci siano cantanti lirici, perché il mezzo con cui si comunica l’emozione può cambiare ma non il risultato. Quello deve essere corretto, come il risultato di un’equazione. Sono quasi maniaco della pulizia e della precisione che debbono essere vocali ma soprattutto fisiche. Si contano i passi negli spostamenti affinché si creino geometrie precise, come in un quadro di Mondrian. So che questo tipo di lavoro paga. Il teatro ha bisogno di rigore. L’importante è che arrivi il senso primo di ciò che voglio dire e trasmettere».

La lirica era il suo sogno?

«Non lo era. Come non lo era questo mestiere. D’altra parte “la vita è ciò che ti accade mentre fai altri progetti” cantava John Lennon. Pensavo di diventare medico, ho studiato per quello e per caso invece mi sono affacciato al mondo dello spettacolo e qui ho lavorato e studiato tanto ma da autodidatta, spinto da passione, amore, curiosità. Vivo in una costante sfida con me stesso e forse più serenamente, senza preconcetti».

Ha un’altra opera lirica che vorrebbe dirigere?

«Turandot. Ho frequentato l’università in Cina, a Pechino nel 1992, conosco la cultura orientale e mi piacerebbe rendere l’idea occidentale di quel mondo».

Attualizzazione dei tempi storici o purismo?

«Darò una risposta democristiana. I tentativi di attualizzazione a tutti i costi sono pericolosi. Il purismo è limitante e limitato: perché ripetere sempre la stessa opera? Non ha senso. Importante è riferirsi sempre al pubblico».

Quali sono le necessità del teatro, oggi?

«Deve tornare a comunicare con le persone. Un concetto che vuol dire tutto e nulla, me ne rendo conto, ma credo sia importante smettere di mettere in scena titoli per sé stessi, per operazioni di vanagloria, e porsi al servizio del pubblico, comunicando sentimenti vicini. Dopo il Covid è sbocciata una nuova primavera per lo spettacolo dal vivo: questo momento deve diventare permanente. C’è un grande fermento culturale. Questo è un dato positivo, e c’è voglia da parte del pubblico di riempire gli spazi vuoti. Non bisogna deludere i giovani. Una volta finiti gli abbonati (perché finiranno), rischiamo di avere un vuoto. I giovani vanno coltivati perché sono loro il pubblico del futuro. E’ anche importante formare una classe dirigente e tecnica che sia aperta alle tecnologie innovative e che riesca a immaginare il linguaggio di quel pubblico. Chi fa il mio mestiere deve mantenere la qualità, ma pensare a proposte magari meno colte culturalmente ma più popolari, nell’accezione positiva del termine, quindi di ampiezza di bacino d’ascolto. D’altra parte il teatro è il luogo nato per il popolo e la socializzazione. E’ importante assistere a spettacoli che portino al dibattito».

Ha registrato un enorme successo con il suo «Otello», che ha debuttato a luglio a Verona, se lo aspettava?

«Ci speravo ma non me lo aspettavo. Resto comunque umile e lavoro per la gente; non sovrasto l’autore, non impongo le mie idee anche se cerco di portarne di valide, attinenti al momento che stiamo vivendo, perché occorre intercettare l’attualità. Sono felice della riuscita per una serie di motivi: ho avvicinato un pubblico trasversale e questo significa che l’opera risponde alle esigenze di chi assiste».

Ha sogni nel cassetto?

«Assolutamente sì! Mi ritengo una persona fortunatissima perché faccio ciò che non avevo mai pensato di fare. Nondimeno continuo ad avere sogni che con grande caparbietà cerco di realizzare. Sono un artigiano dello spettacolo. Sono cresciuto a Bergamo e da bambino ero affascinato dalle botteghe dei fabbri, dei calzolai: li consideravo artisti veri, capaci di dedicare tutto il giorno e tutti i giorni alle loro creazioni. Ecco, mi piace questo concetto di spettacolo. Non mi pongo limiti: ho vari progetti in mente che mi piacerebbe mi venissero commissionati».

La provincia limita la spinta artistica e la carriera?

«No. Credo che la sana ambizione e la voglia di uscire da un po’ di chiusura mentale (che la provincia ti educa ad avere, perché piccola, perché ci si conosce tutti, si è protetti) ti permetta di sviluppare fantasia e ambizione. E’ scomparso da poco il signore della moda, Giorgio Armani: anche lui proveniva dalla provincia, eppure era intriso di una spinta motivazionale che gli ha permesso di far valere le proprie idee ed esportarle in tutto il mondo».

Quale libro ha sul comodino?

«Non amo parlare di me ma sarò autoreferenziale… in questo momento sto ultimando la stesura del mio nuovo romanzo (dopo «Dentro un mondo nuovo» del 2010: ndr) che uscirà a metà ottobre».