Il personaggio

Quando la scrittura aiuta ad affrontare la malattia: la storia della 32enne Alessandra Cantù

Alessandra Cantù è affetta da Osteogenesi imperfetta: l'ha scoperto due anni fa.

Quando la scrittura aiuta ad affrontare la malattia: la storia della 32enne Alessandra Cantù

Se a trent’anni vi dicono che avete una malattia rara, l’Osteogenesi imperfetta, e che la vostra vita ne sarà per forza di cose condizionata, come reagireste? Alessandra Cantù ha deciso di scrivere quello che le stava accadendo e alla fine ne è nato un libro, “Come ho dipinto la mia vita. L’arte di affrontare”. Oggi Alessandra ha 32 anni e la malattia l’ha scoperta nel 2023 dopo anni di difficoltà e aver visitato decine di medici che non riuscivano a capire da cosa nascessero i suoi problemi.

«E’ stato un percorso lungo e difficile – racconta – Sono in cura a Firenze e per arrivare alla diagnosi mi sono dovuta sottoporre a un anno e mezzo di esami, accertamenti, cure… Mi hanno rivoltato come un calzino finché è arrivato il verdetto».

Scrivi nel libro che la prima domanda che ti è nata spontanea è stata: “Perché proprio a me?”

«Ma ancora prima mi sono chiesta: “Perché sono arrivati alla diagnosi così tardi?” Ormai mi ero fatta una vita che in quel momento veniva ribaltata. Mi venivano introdotti dei paletti che prima non avevo: questo non lo puoi fare, a quello devi stare attenta…».

Ti sei fatta aiutare da qualcuno?

«All’inizio ho frequentato una psicologa, ma più per gestire le persone che mi stavano intorno, come il mio ex compagno o i miei genitori, che per me stessa. Una volta che ho capito cosa dovevo fare mi sono arrangiata. Per me è molto più efficace una chiacchierata con un’amica. Sono fortunata: ne ho poche, ma davvero buone».

A causa dell’Osteogenesi imperfetta sei stata costretta a fare grosse rinunce?

«Grazie al cielo riesco comunque a fare un sacco di cose e chi mi vede normalmente non si rende conto di quello che ho, nonostante mi abbiano riconosciuto un’invalidità del 60%. Il vero problema è dosare al meglio le mie forze perché col progredire della malattia le energie diminuiscono. Però, devo riconoscere che l’Osteogenesi non mi ha posto solo degli ostacoli; mi ha dato anche stimoli nuovi, come appunto la scrittura, e mi ha spinto a uscire dalla mia comfort zone e a superare i miei limiti».

Perché hai deciso di scrivere questo libro?

«Diciamo che è nato un po’ per caso. All’inizio è stato appunto una sorta di terapia: scrivere quello che mi accadeva mi aiutava ad affrontare meglio il problema. A un certo punto mi sono ritrovata con molto materiale e mi sono detta: “Perché non far conoscere anche agli altri la mia storia? Magari può essere d’aiuto a chi si trova in una situazione simile alla mia”. E poi ho pensato che se riuscivo a vendere qualche copia, con una parte dei fondi avrei potuto aiutare l’Associazione Italiana Osteogenesi Imperfetta a cui sono iscritta».

Mi incuriosisce il titolo: “Come ho dipinto la mia vita. L’arte di affrontare”. Diciamo subito che tu sei anche pittrice e che all’inizio del tuo libro scrivi: “La mia storia è un tripudio di emozioni e colori che ho dovuto ridipingere più volte. Questo libro non è solo un racconto di cadute e risalite, ma una testimonianza di come ogni pennellata, anche quella più incerta, abbia contribuito a creare il quadro della mia vita”. Ma come nasce il titolo?

«Volevo fare un parallelismo con la mia vita, che è stata per tanti anni sulle onde, tra salite e cadute. E volevo mettere in evidenza la necessità di essere resilienti, di sforzarsi di trovare sempre il lato positivo in quello che ti accade: è quello che mi permette di andare avanti».

Quali sono state le maggiori difficoltà incontrate in questi due anni?

«Non lo immaginavo, ma tante persone, una volta conosciuta la mia condizione, sono sparite. A cominciare dal compagno che avevo all’epoca e che non è riuscito ad accettare quanto stava accadendo. Per non dire a livello lavorativo: certe aziende ti cercano perché fai parte delle categorie protette e assumendoti hanno dei benefici economici, poi però non accettano i tuoi limiti e si lamentano se stai a casa perché stai male».

E a livello medico?

«Purtroppo non credo di dire una cosa nuova ma, per fare in fretta e avere incontri con specialisti piuttosto che certi esami, mi sono spesso rivolta ai privati sborsando un sacco di soldi. Pensa che, facendo la dichiarazione dei redditi, mi sono accorta che l’anno scorso ho speso per la mia malattia più di quanto avevo guadagnato. Per non dire della burocrazia…»

Racconta pure.

«L’iter burocratico è davvero snervante. Per entrare in certi protocolli sanitari a volte devi fare percorsi allucinanti. Solo per avere le esenzioni per i farmaci ci sono voluti sei mesi e ancora di più per vedermi riconosciuta, senza ulteriori periodici controlli, la legge 104».

Ho letto nel libro che quest’esperienza ti ha insegnato che “non dobbiamo mai sentirci in colpa per qualcosa che non dipende da noi. La malattia può cambiare il nostro corpo, ma non può definire chi siamo”. Immagino, però, che la malattia ti abbia cambiata.

«Devo riconoscere che mi ha resa più sensibile. Da sempre sono piuttosto empatica, ma ora mi accorgo che ogni piccolo gesto può essere importante e può fare la differenza. D’altra parte, cosa ci costa un sorriso in più?».

Prendo sempre dal libro: “Oggi ciò che mi spaventa di più di questa patologia, è l’incertezza del futuro”. Per te cosa riserva il futuro?

«Mi piacerebbe sfondare nel campo dell’arte, almeno come secondo lavoro, e mi piacerebbe continuare a scrivere (sta finendo il suo primo romanzo, ndr). Ma soprattutto mi piacerebbe avere una famiglia, in particolare dopo che ho conosciuto Gabriele, una persona davvero speciale».