Personale infermieristico insoddisfatto anche nel Nordovest: il quadro del rapporto Fnopi
L'analisi degli esperti non lascia spazio a interpretazioni o dubbi: è necessario che le istituzioni facciano qualcosa.

E' stato presentato al pubblico da poco il rapporto della Federazione nazionale ordini professioni infermieristiche (Fnopi) e quello che emerge è un quadro abbastanza desolante.
Personale infermieristico insoddisfatto anche nel Nordovest: il rapporto della Fnopi
Pazienti soddisfatti, infermieri decisamente meno: il 30% pensa di lasciare la professione, la carenza di personale è cronica e gli stipendi segnano un distacco di oltre 7mila euro rispetto alla media Ocse. Presentato a Roma il primo «Rapporto sulle professioni infermieristiche» curato da Fnopi (Federazione Nazionale Ordini Professioni Infermieristiche) e Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, che certifica come gli infermieri siano il 40% di tutto il personale del Sistema sanitario nazionale eppure siano ancora in ranghi ridotti: in Italia ci sono 6,5 infermieri ogni 1.000 abitanti, contro gli 8,4 della media europea ma se si considera solo al personale pubblico, il dato crolla a 4,79 per 1.000 con la Lombardia che ne ha appena 3,53, contro i 6,3 della Liguria.
In alcuni territori ci sono più infermieri che medici
In alcune regioni, si ha comunque una maggiore presenza di infermieri rispetto ai medici: se il valore medio italiano è pari a 2,48, in Liguria si arriva a 2,84; diverso per Lombardia (2,36) e Piemonte (2,46) che comunque presentano una situazione equilibrata. Un altro indicatore importante è quello delle assenze del personale infermieristico, che permette di percepire il clima interno nelle aziende ma anche di sottolineare le difficoltà dell’organizzazione quotidiana delle attività: a livello nazionale, il valore medio di questo indicatore è pari al 16,23% ma, come per gli altri parametri, la differenza tra regioni è sostanziale: la Liguria arriva al 19% (ed è in cima alla classifica), la Lombardia è in linea con la media, il Piemonte si ferma al 15%; il Veneto che ha meno assenze raggiunge comunque il 14%.
Retribuzioni al di sotto della media europea e carriera zero
E anche sulla retribuzione non va meglio: 32.400 euro lordi l’anno è lo stipendio medio di un infermiere italiano, a fronte di una media europea che supera i 39.800 euro, con un divario evidente tra Nord e Sud. In Piemonte si arriva a 33.800, in Lombardia a 32.700 e in Liguria a 32.800 euro. Oltre a carenza e stipendi bassi, un’altra criticità della professione è quella rappresentata dalla mancanza di opportunità nel “fare carriera” anche se al Nord il numero di figure dirigenziali è più alto, con la Lombardia che ha 2 dirigenti ogni mille infermieri, il Piemonte che ne registra 1,9 con una media italiana di 1,7; resta sotto la Liguria con 0,9 ma il fanalino di coda è la Campania che ne ha appena 0,2. Dall’analisi risulta che per le aziende ospedaliere analizzate, su 346 posizioni dirigenziali, 10 sono occupate da soggetti esercenti la professione infermieristica (circa il 3%), le quali derivano principalmente dalla Lombardia e dall’Emilia Romagna. In relazione ai direttori di distretto, su 481 posizioni, 22 sono occupate da soggetti esercenti la professione infermieristica (circa il 5%), le quali derivano principalmente da Emilia-Romagna e Lombardia. Per le Asl, su 374 posizioni dirigenziali, 2 sono occupate da soggetti esercenti la professione infermieristica (circa l’1%), le quali derivano da Campania e Veneto. Per quanto riguarda, invece, la parità di genere, solo la Liguria è sopra la media italiana.
Il 45% del personale dichiara di voler abbandonare entro l'anno la professione
Con questo scenario, non è quindi difficile comprendere il livello generale di insoddisfazione che porta un 45% del personale a dichiarare che lascerà la professione entro un anno.
Ma in quale modo operano le regioni rispetto al tema della cura e della professione infermieristica? Il rapporto Fnopi racconta come la Lombardia orienta l’assistenza verso la prevenzione e l’individuazione precoce dei bisogni di salute, la Liguria e il Piemonte pongono una particolare attenzione sulla personalizzazione delle cure.
Il ruolo della ricerca
La terza parte del rapporto ha analizzato il ruolo della ricerca infermieristica in Italia, con particolare attenzione alle posizioni accademiche e al loro contributo al progresso della professione. In sintesi, il settore scientifico disciplinare presenta ancora un numero esiguo di docenti e ricercatori nell’area infermieristica con una distribuzione geografica eterogenea: il 42% delle posizioni accademiche si concentra nel Nord Italia; la regione con il maggior numero di posizioni è il Lazio, con 21 incarichi, seguita dalla Lombardia (12) e dal Piemonte (9). Anche i professori associati e i ricercatori sono più numerosi al Nord. L’impatto della produzione scientifica mostra un trend positivo mentre diminuiscono i laureati nei corsi triennali in infermieristica, a fronte di un aumento costante nei corsi magistrali in Scienze Infermieristiche e Ostetriche con prevalenza femminile in entrambi i percorsi accademici e riduzione dell’età media alla laurea triennale. E’ crescente quota di laureati triennali provenienti da percorsi liceali e la maggior parte dei corsi è tenuta da docenti con contratti temporanei.
«L’Infermiere di Famiglia e Comunità rappresenta una figura chiave, un professionista integrato nella rete socio-sanitaria territoriale, la cui vocazione pubblica non è ideologica, ma funzionale - dichiara Barbara Mangiacavalli , presidente Fnopi - l’IFeC non “eroga” prestazioni, ma valuta, educa, progetta, raccorda. E’ chiamato a conoscere le persone e i contesti in cui vivono, ad attivare risorse informali (familiari, vicinato, volontariato), a costruire percorsi condivisi con assistenti sociali e altri professionisti. Telemedicina e teleassistenza, soprattutto nei contesti rurali o difficilmente raggiungibili, possono alleggerire i percorsi e migliorare il monitoraggio dei pazienti. Ma non potranno mai sostituire il valore della relazione e della presenza. E’ il momento di spostare il focus: servono più infermieri, e servono anche e soprattutto nei territori e nei raccordi tra ospedale e domicilio. Questo significa anche ripensare la formazione accademica perché questa sfida richiede competenze avanzate, capacità di valutazione autonoma, leadership. Non possiamo permetterci di rimanere ancorati a un modello che non risponde più alle esigenze reali delle persone. Il futuro della sanità si gioca nelle case, nei quartieri, nelle relazioni. E sarà il capitale umano, adeguatamente formato, valorizzato e integrato, a fare la differenza».