Inchiesta

Ospedale che vai, liste d'attesa che trovi (sempre lunghe)

Il problema è noto e non siamo certo i primi a evidenziarlo; l’emergenza Covid l’ha pure accentuato.

Ospedale che vai, liste d'attesa che trovi (sempre lunghe)
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Liste d'attesa negli ospedali del Nord Ovest, la situazione è preoccupante: al netto di urgenze spesso chi prenota una prestazione specialistica deve aspettare mesi.

Liste d'attesa interminabili, la situazione negli ospedali del Nord Ovest

Per una visita dermatologica alla Città della Salute e della Scienza di Torino ci possono volere 359 giorni, praticamente un anno; per una dall’endocrinologo, se avete problemi di glicemia, fino a 156 giorni; e se vi serve un’ecografia dell’addome completo potrebbero concedervela dopo 328 giorni. Alla Fondazione Ca’ Grande Ospedale Maggiore Policlinico di Milano, invece, per una visita dermatologica ce ne vogliono di meno, “solo” 211 giorni, un po’ di più per l’endocrinologo, 171 giorni e 239 per un’ecografia dell’addome completo. Spostiamoci in Liguria, nell’Area Metropolitana Genovese, dove per una visita dermatologica potrebbero darvi l’appuntamento anche per il giorno dopo, mentre ne occorrerebbero fino a 72 per una visita dall’endocrinologo e fino a 92 giorni per poter fare un’ecografia all’addome.

Il rapporto di Cittadinanzattiva e la segnalazione dei tempi massimi

Insomma, ospedale che vai, liste d’attesa che trovi. Comunque, quasi sempre lunghe, se non molto lunghe. È il dato comune che potete trovare andando sui siti dei singoli ospedali del Nordovest: sì, qualche eccellenza di qua, qualcuna di là, ma la sostanza è che, se non si ha un’urgenza, si fa sempre più fatica a trovare una visita o una prestazione specialistica nel giro di pochi giorni.
Nell’ultimo Rapporto civico sulla salute di Cittadinanzattiva, in merito ai tempi di attesa, i cittadini segnalavano alcuni dei tempi massimi: 468 giorni per una prima visita oculistica in classe P (programmabile, da eseguire entro 120 giorni); 480 per una visita di controllo oncologica in classe non determinata; 300 giorni per una visita oculistica di controllo in classe B (breve, da erogare entro 10 giorni); 526 giorni per un ecodoppler tronchi sovraaortici in classe P (programmabile, da erogare entro 120 giorni); 437 giorni per un intervento di protesi d’anca in classe D (entro 12 mesi), 159 giorni per un intervento per tumore alla prostata in classe B (entro 30 giorni)…

L’impegno delle istituzioni

Il problema è noto e non siamo certo i primi a evidenziarlo; l’emergenza Covid l’ha pure accentuato. Lo sanno, naturalmente, ai vertici del Governo che, per tagliare le liste d’attesa, la scorsa estate ha addirittura varato una specifica riforma legislativa (quella che, tra le altre cose, ha previsto il potenziamento delle visite diagnostiche e specialistiche tramite l’estensione delle attività a sabato e domenica e il prolungamento delle fasce orarie). Peccato che poi, come ha ricordato a novembre lo stesso ministro della Salute, Orazio Schillaci, rispondendo a un’interrogazione parlamentare, i decreti attuativi siano quasi tutti ancora di là da venire. Infatti, al 29 gennaio, secondo quanto riportato dal Dipartimento per il Programma di Governo, risulta approvato un solo decreto attuativo. Degli altri, tre sono già scaduti (due da quasi 4 mesi e l’altro da quasi 5 mesi) e per due non è stata definita alcuna scadenza. Comunque, va sottolineato che anche le singole Regioni si sono mosse per ridurle.

Le cause della situazione

Le cause di questa situazione? Un elenco a cui non è facile porre subito rimedio: dalla carenza di medici e infermieri alla disorganizzazione di alcune aziende sanitarie, dalle apparecchiature spesso obsolete ai cittadini che prenotano le prestazioni e poi non si presentano, senza disdire e lasciare ad altri il loro posto. Senza aver vergogna di dire che molti esami e visite sarebbero evitabili (ma i medici hanno paura di essere poi denunciati dai pazienti se non le prescrivono comunque…). Se poi aggiungiamo il fatto che, stando ai dati di Agenas, l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, fra il 2019 e il 2023, a fronte di un numero di medici stabili è aumentato del 44% il numero di prescrizioni ambulatoriali, il quadro, allarmante, è definito.

Le prestazioni dalla sanità privata e la rinuncia alle cure

La prima conseguenza di questa situazione è evidente a tutti: il cittadino ammalato che non riesce a farsi curare dal servizio pubblico si rivolge al privato. Pagando, evidentemente, di tasca propria.
Confrontando dei dati delle spese sanitarie sostenute dai cittadini, comprensive del pagamento dei ticket, e trasmessi al Sistema TS per gli anni dal 2016 al 2023, dopo il rallentamento registrato nel 2020 legato al Covid, il trend della spesa sanitaria privata è tornato a crescere e nel 2023 presenta una variazione del +7% rispetto all’anno precedente. Tra tutte le regioni, quella che registra la crescita maggiore è la Lombardia (+9,5%); ed è pure quella dove si spende di più in assoluto (10,2 miliardi di euro nel 2023). È superiore alla media nazionale anche la crescita del Piemonte che raggiunge il +8,2% per un valore assoluto di 3,46 miliardi di euro. Di poco sotto la media, invece, l’incremento della spesa sostenuta dai cittadini in Liguria (+6,6%). L’analisi, che trovate in queste pagine, svolta a Bergamo dalla Cgil sui pensionati di quel territorio sull’incidenza della spesa sanitaria è emblematica.

L'intervento di Mattarella

Ma se un cittadino non ha i soldi per pagarsi le cure privatamente? Succede sempre più spesso che sia costretto a rinunciare a visite ed esami. Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel suo messaggio di fine anno l’ha sottolineato senza tanti giri di parole, denunciando una situazione inaccettabile per il nostro Paese per le sue implicazioni sanitarie, sociali ed economiche: «Vi sono lunghe liste d’attesa per esami che, se tempestivi, possono salvare la vita. Numerose persone rinunciano alle cure e alle medicine perché prive dei mezzi necessari». Gli ultimi dati lo confermano: nel 2023 il 7,6% dei cittadini italiani ha rinunciato alle cure.

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