Il personaggio

L'intervista a Valeria Mottaran, fotografa di moda e di anime

«Nel dietro le quinte regna costantemente la follia: sembra che stia per finire il mondo in ogni istante. Il momento peggiore che ho vissuto è stato proprio lì, sentendo le urla contro le modelle. Non le invidio».

L'intervista a Valeria Mottaran, fotografa di moda e di anime
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Ci sono Paesi in cui si crede che una foto possa rubare l’anima. Ma è proprio quel frammento di anima, che si ferma per sempre in uno scatto, il senso e la ricerca più difficile per chi, il fotografo, lo è di professione.  Valeria Mottaran ha lavorato per anni a Roma nel mondo del cinema e del teatro e con il Covid è tornata a casa, a Novara, per ritrovare un tempo lento, gli affetti, nuovi orizzonti. Una fotografa che utilizza l’obbiettivo per raccontare tecnologia, moda e cuore. Uno sguardo realistico, intimo, dinamico, che cerca la bellezza, la sfiora, la interpreta.

Un ritorno choc?

«No, di Roma mi mancano le passeggiate lungo Tevere e i cinema d’éssai ma della provincia apprezzo il poter concentrare più attività in poco tempo, parcheggiare facile, avere vicino i miei genitori, la mia nipotina che amo alla follia, stare bene nel mio nido».

Quanto ha influito la pandemia nella sua professione?

«Mi ha bloccata completamente ed è stato come un ripartire da capo. Per fortuna lavorando bene e con il passaparola, ho potuto concentrarmi in tre ambiti diversi e stimolanti: gli eventi privati, le aziende e la moda. Mi occupo quindi di matrimoni, posati di famiglia, maternità così come di still life di prodotti ed eventi soprattutto nel settore i-tech con Lenovo, Inaz, Snaitech. E per tre anni ho seguito le sfilate di Valentino: il cambio del team creativo ha portato a un cambio complessivo di tutti i professionisti coinvolti ma spero di tornare anche in quel mondo».

Di recente ha partecipato a nozze vip..

«Sono stata davvero felice di fotografare il matrimonio di Gigi Buffon e Ilaria D’Amico. Una coppia gentile, disponibile. Ho apprezzato l’atmosfera di festa autentica, con la voglia di stare insieme. Si respirava affetto, coinvolgimento ed è stato piacevole. Anche Tim Burton a un certo punto ha affermato di non aver capito tutti i discorsi in italiano ma che comunque il significato gli era arrivato diritto al cuore. Lui era invitato con Monica Bellucci, una delle testimoni, ma la maggior parte dei presenti erano amici di sempre, non “famosi”».

E le sfilate, invece, come si vivono dietro le quinte?

«Per una sfilata di Valentino i fotografi erano 16: due solo per i ritratti frontali, 5 dedicati solo ai dettagli, io con altri setti mi occupavo delle vibrazioni, raccontavamo l’atmosfera, insomma la parte più divertente e creativa. Ci sono poi i fotografi per i retri, quelli che devono concentrarsi sul back stage o sul line up cioè alle modelle in linea, pronte per uscire che devo essere ritratte a gruppi e belle. In media ci sono 80 uscite e si è sempre in location pazzesche. Nel dietro le quinte regna costantemente la follia: sembra che stia per finire il mondo in ogni istante. Il momento peggiore che ho vissuto è stato proprio lì, sentendo le urla contro le modelle. Non le invidio».

Quando devono essere pronti gli scatti?

«L’editing è immediato. Bisogna essere veloci. i look book devono essere pronti subito e la mattina seguente molto presto vengono inviati a tutti i clienti. Siamo abituati a ritmi frenetici, a lavorare come pazzi e per questo consegno sempre velocemente anche gli altri lavori, anche gli scatti per gli sposi e così ho molto tempo libero!».

Come lo impegna questo tempo libero?

«Dopo Roma sono diventata più solitaria e quindi leggo tantissimo, ascolto musica, passeggio, pratico pilates per alleggerire la mia schiena e appena posso sono al cinema. I film, in realtà, li osservo con occhio critico rispetto alla fotografia e spesso penso “come mi piacerebbe essere su quel set”».

Scatta foto anche per sè?

«Di recente ho viaggiato per l’Islanda e ho ritrovato la passione della foto extra lavoro, dimensione che stavo in parte perdendo. Viaggiare riempie il cuore».

Come definirebbe il suo stile?

«Moda a parte, dove si debbono seguire indicazioni precise, con me prevale il reportage, anche negli scatti di famiglia».

Viaggi e reportage si sono uniti nell’esperienza con la Fondazione Rava tra il 2014 e il 2015 ma è quasi pronto a ripartire, vero?

«Un’esperienza arricchente che mi ha cambiata in modo profondo, che mi ha lasciato tanto dal punto di vista visivo e del materiale fotografico ma soprattutto a livello umano. Sono stata ad Haiti, un vero trauma, e poi in Repubblica Dominicana, El Salvador, Messico, Perù, Honduras, Nicaragua, Guatemala, Bolivia. Nel complesso ho trascorso tre mesi a visitare le case famiglia dove si sviluppano i progetti della Fondazione e ho anche adottato una bimba, Maria, ora diventata una giovane donna. Ho vissuto con le persone del posto, ho sperimentato realtà diverse. Tornare a casa è stato uno choc ma da allora sono più attenta agli sprechi, ai consumi, agli altri. La Fondazione compirà 25 anni e spero di poter ripartire presto per un altro progetto proprio collegato a questo anniversario».

Quello che un fotografo non deve fare mai?

«Essere un “montato”. Anche se si sono raggiunti traguardi importanti occorre avere la mentalità giusta per capire che si può sempre migliorare e che in fondo... sei un fotografo... non salvi vite umane».

Cosa non tollera?

«La mancanza di umanità. Noi siamo dei privilegiati, siamo nati nella parte giusta del mondo. Non possiamo ignorare, dimenticare, calpestare».

Il sogno nel cassetto?

«Lavorare con Sorrentino in un film perché io lo amo! Al momento non mi sto applicando per realizzarlo anche perché da qui è difficile, ma vorrei».