La retta della casa di riposo è dovuta dai familiari di malati di Alzheimer o dal Ssn?
Secondo uno studio lo Stato vedrebbe un aumento di 20 miliardi annui della spesa, e ciò, ovviamente, non sarebbe sostenibile.

E' destinata a fare discutere una recente decisione della Cassazione che ha accolto il ricorso di un cittadino milanese: la retta della Rsa per i malati di Alzheimer è a carico del Ssn.
Retta della Casa di riposo per i malati di Alzheimer, secondo la Cassazione deve pagarla il Ssn
I famigliari dei malati di Alzheimer devono pagare le rette delle case di riposo? La domanda è d’obbligo ed è all’ordine del giorno dopo una recente decisione della Corte di Cassazione che ha accolto il ricorso presentato da un cittadino milanese seguito dall’avvocato Giovanni Franchi, presidente per l’Emilia-Romagna dell’associazione Konsumer; la sentenza ha sancito che per i malati di Alzheimer la retta della Residenza sanitaria assistenziale deve essere interamente a carico del Sistema sanitario e non pesare sulle famiglie. Questo perché la Cassazione ha considerato le prestazioni socio-assistenziali per i pazienti affetti da malattie come Alzheimer e demenza senile connesse alle prestazioni sanitarie: un legame che implica che i costi di permanenza nelle Rsa (compresi quelli di ricovero e assistenza) debbano gravare sul Servizio Sanitario Nazionale. Inutile negare che la decisione ha suscitato non poche speranze nelle famiglie che si trovano a sostenere queste rette che a volte raggiungono livelli assurdi: ci sono, purtroppo, strutture private che arrivano a chiedere molte migliaia di euro al mese.
I precedenti e i dubbi sulla sostenibilità della questione
Detto che questa sentenza non è comunque una novità, visto che in passato ci sono stati altri pronunciamenti della Corte Suprema nella stessa direzione, così come decisioni simili del TAR del Lazio, resta la domanda se questa strada sia percorribile e, soprattutto, sostenibile. Secondo l’avvocato Luca Degani, presidente di Uneba Lombardia (Unione nazionale istituzioni e iniziative di assistenza sociale), intervistato nei giorni scorsi durante la trasmissione “Due di denari” di Radio 24, se si dovesse seguire alla lettera questa sentenza, lo Stato si ritroverebbe un incremento della spesa sanitaria di ben 20 miliardi di euro all’anno. Impensabile e, soprattutto, impraticabile. Così com’è assurdo ritenere che le Residenze sanitarie possano stare in piedi senza questi soldi: basti dire che nel 2022, secondo una rilevazione dell’osservatorio sulle Rsa della Liuc di Castellanza, il 68% delle Rsa prese in considerazione era in perdita. Questo significa che se le famiglie cominciassero a non pagare le rette, la maggior parte delle case di risposo dovrebbe chiudere perché non c’è la possibilità di ammortizzare i mancati pagamenti.
L'intervento delle Regioni previsto dalla Legge
Tuttavia, c’è anche da evidenziare come la legge preveda che le Regioni versino alle case di riposo il 50% delle spese. Cosa che in Italia oggi non è garantito quasi da nessuno. Infatti, calcolando una retta media di 120 euro al giorno (che prevede di mettere a disposizione di ogni paziente 40 metri quadri di superficie, i pasti quotidiani, circa 3 ore di assistenza tra medici, infermieri, OSS e ASA, e i farmaci necessari alle cure), sono poche le Regioni che ne pagano la metà. In Lombardia, ad esempio, si arriva a 45 euro. Nel momento in cui tutte le Regioni si adeguassero, ci sarebbero a disposizione un paio di miliardi in più all’anno.
Se a questo, infine, si aggiungesse la compartecipazione degli enti locali, l’impegno dei costi delle Rsa a carico di molte famiglie bisognose sarebbe sicuramente più leggero e forse si arriverebbe a una retta alla portata di tutti, nell’ottica di quella compartecipazione pubblico-privato su cui si è retta fino a oggi la nostra sanità. Sicuramente avremmo una retta più sostenibile per molte famiglie.