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Intervista al sociologo Benassi: "Scompare il ceto medio e si concentrano i redditi"

L'intervento del professore parte da una vecchia battuta, quella delle famiglie che non arrivano a fine mese e dei ristoranti pieni.

Intervista al sociologo Benassi: "Scompare il ceto medio e si concentrano i redditi"
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L'intervista al professore di Sociologia dei processi economici e del lavoro all'università degli Studi Milano-Bicocca, David Benassi.

Intervista al sociologo Benassi: "Scompare il ceto medio e si concentrano i redditi"

Famiglie che faticano ad arrivare a fine mese e ristoranti pieni: una contraddizione? No. E il perché lo spiega David Benassi, professore ordinario di Sociologia dei processi economici e del lavoro all’Università degli Studi Milano-Bicocca.

«Una battuta che circolava già negli anni Ottanta con Craxi e poi con Berlusconi - afferma Benassi - ma non vi è alcuna contraddizione in quanto la popolazione è composta da persone con diverse capacità di spesa. Anzi, la frattura, la polarizzazione tra ricchi e poveri è sempre più netta, come sottolineano gli studiosi di Oxfam».

Se negli anni Sessanta e Settanta vi era una crescita complessiva del benessere, con pochi poveri, pochissimi ricchi e un ceto medio sostanziale, ora tra i tantissimi poveri e i pochi ricchissimi, si colloca una fascia di popolazione che arranca ad arrivare a fine mese o non ce la fa e si rivolge agli enti caritativi.

La polarizzazione che si autosostiene

«Una polarizzazione che si sostiene proprio con la sua esistenza - continua il professore - dal momento che i ricchi hanno bisogno di quella fascia di lavoratori a basso reddito che forniscono i servizi a loro necessari e penso ai fattorini, alle persone che si occupano delle pulizie, ai camerieri. Un fenomeno che si coglie ancora più chiaramente nelle grandi città europee, anche per quanto riguarda l’organizzazione degli spazi: i ricchi abitano le zone centrali, con una qualità migliore dei servizi, dalle strade alle scuole, mentre la periferia accoglie quelle persone che si devono spostare per raggiungere i luoghi di lavoro».

Classi sociali, spazi e differenze

Differenze, dunque, che si riflettono sulle classi sociali, sugli spazi, con Benassi che utilizza semplificazioni capaci di far cogliere i concetti anche se, come ovvio, la società è complessa e articolata. Differenze che distinguono ancora il Nord e il Sud dell’Italia e che il docente ben conosce occupandosi da tempo di uno studio comparato che riguarda proprio la povertà e lo sviluppo di Milano, Roma e Napoli.

«La povertà è un fenomeno più radicato al Sud - spiega - però da diversi anni si nota una riduzione del divario soprattutto tra il Mezzogiorno e il Nord Ovest, dove la povertà assoluta e la povertà relativa, dati Istat alla mano, stanno crescendo maggiormente. La fascia fragile della popolazione continua ad aumentare».

Al Nord le famiglie in povertà assoluta sono aumentate di più rispetto al Sud

Dal 2014 al 2023 le famiglie in povertà assoluta al Nord sono passate a essere dal 4,2% al 7,9% mentre al Sud dal 9,6 sono salite al 10,2%: crescita in entrambi i casi, ma al Nord sono quasi raddoppiate, quindi la crescita è stata maggiore, tanto che «le Regioni centrali stanno meglio del Nord». La povertà relativa, quindi, l’indice che segna le disuguaglianze, al Nord è cresciuta di un terzo mentre al Sud è salito dal 24% “solo” al 24,6%. Anche il Covid è stato un fattore di incremento della povertà, ma mentre nel resto del mondo i valori sono poi tornati a un “prima della pandemia”, nel Nord Ovest non è stato così.

«Lo choc è continuato - sostiene Benassi - Senza essere catastrofisti, diciamo che nello scacchiere nazionale il Nord Ovest sta meglio, ma ha la tendenza a peggiorare con l’aumento di una élite insieme all’aumento di chi fa realmente fatica».

Sul tema povertà l'Italia non ha recuperato, anzi

Ci sono andamenti congiunturali in questi fenomeni, ci sono ciclicità, ma sul tema povertà l’Italia non ha recuperato, anzi, sul lungo periodo «dal 2004 a oggi la povertà assoluta è triplicata e il trend è quello di un aumento costante mentre negli atri Paesi la povertà è cresciuta, ma è anche stata riassorbita» e questo non fa pensare a una ciclicità, piuttosto a una linea in salita in un ipotetico grafico.

Altro punto su cui riflettere è la narrazione della povertà

Un altro aspetto, poi, è quello relativo alla narrazione di questa povertà:

«Trovo la modalità di racconto disarmante, soprattutto quella utilizzata dai politici - precisa il professore - in quanto le persone povere vengono rappresentate o come fannulloni o come delinquenti e questo è assurdo: non ha alcuna rispondenza con la realtà. I poveri lavorano, ma lo stipendio che ricavano non è sufficiente a far fronte all’aumento del costo della vita. Chi non ha un’occupazione ha vincoli oggettivi nel non poter lavorare, come una malattia o la residenza in zone senza opportunità o essere anziano. Il discorso ottocentesco sulla povertà, dunque, è inaccettabile. A Milano, per esempio, la disoccupazione è bassissima, eppure i poveri ci sono e sono tanti. Sono poveri anche la badante, l’addetto alle pulizie, il fattorino. Questo tipo di economia non consente un livello di reddito adeguato alle spese da sostenere in una città, d’altra parte se il lavoratore si spostasse distante dalla città stessa, non riuscirebbe a svolgere quel lavoro che spesso viene praticato in orari anomali. Accanto alla cosiddetta gig economy (modello economico basato sul lavoro a chiamata, occasionale e temporaneo: ndr) ci sono lavoratori qualificati come giornalisti , avvocati, psicologi che hanno una lunga fase di avvio di carriera durante la quale debbono “stringere la cinghia” o chiedere aiuto ai genitori. Non voglio idealizzare il passato o il posto fisso, ma di certo la flessibilità del mercato del lavoro lascia una serie di incognite».

Analizzando lo scenario complessivo, pensando al futuro al professore quasi “sfugge” una battuta: «Speriamo bene...».

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