Sono i bisogni primari, eppure non sono garantiti nemmeno nel ricco Nord del Mondo. L’insicurezza alimentare è in calo, ma resta un fenomeno diffuso, anche se con importanti differenze territoriali, come sottolinea la statistica di Istat sul tema.
Insicurezza alimentare al 28% nel mondo
L’insicurezza alimentare è definita dalla Food and Agriculture Organization (FAO) come la condizione in cui si trovano le persone che non possono accedere, a causa di limitazioni fisiche o economiche, a un’alimentazione sana, nutriente, conforme alle proprie preferenze e idonea a sostenere una vita attiva e in buona salute. E secondo i dati FAO, nel 2024 l’indicatore di “prevalenza dell’insicurezza moderata o grave” a livello mondiale è pari al 28%, con un ampio divario tra le diverse aree del mondo (dal 58,9% del continente africano al 6,8% del continente europeo). In Italia nel 2024, il 5,5% degli individui mostra almeno uno degli otto segnali di insicurezza alimentare definiti dalla scala Fies (Food Insecurity Experience Scale). Il segnale più diffuso, con il 4,3% di incidenza, riguarda l’aver mangiato solo alcuni tipi di cibo, che nella scala ordinata per gravità (dal meno grave al più grave) si posiziona al terzo posto, seguito dall’essere preoccupato/a di non avere abbastanza cibo da mangiare (primo posto) e dal non aver potuto mangiare del cibo salutare e nutriente (secondo posto), entrambi pari al 2,5%. I segnali Fies che rilevano l’insicurezza alimentare più grave (aver avuto fame non avendo potuto mangiare e non aver mangiato per un giorno intero) presentano un’incidenza inferiore all’1% (0,7% e 0,5%, rispettivamente).
Il fenomeno è più elevato nelle grandi città
L’indicatore di “prevalenza dell’insicurezza moderata o grave” è pari all’1,3%, con un ampio divario tra il Mezzogiorno (2,7%) e il resto del Paese (0,6% nel Nord, 0,8% nel Centro). Rispetto al 2022 si osserva un miglioramento dell’indicatore sia a livello nazionale (era 2,2%), sia a livello di ripartizione geografica (era 1,4% nel Nord, 1,5% nel Centro e 3,8% nel Mezzogiorno). La prevalenza dell’insicurezza alimentare moderata o grave è maggiore nelle grandi città (1,6%), mentre le zone rurali o scarsamente popolate risultano meno esposte (0,9%); è inoltre più diffusa tra gli individui stranieri (1,8%) rispetto agli individui di cittadinanza italiana (1,3%). Se le differenze non sono significative tra uomini e donne, né tra adulti e minori, lo sono invece quelle tra coloro che presentano, per motivi di salute, limitazioni nelle attività abituali (2,4%) e coloro che non hanno alcuna limitazione (1%). In Italia, a fronte di una sostanziale stabilità della grave deprivazione materiale e sociale (4,6%, era 4,7% nel 2023), la quota di popolazione che non può permettersi un pasto proteico è in aumento, passando dall’8,4 % del 2023 al 9,9% nel 2024 (quasi una persona su 10). Le incidenze nel Nordovest e nel Nordest sono in linea con la media nazionale (9,8% e 9,5%, rispettivamente), mentre nel Mezzogiorno si osserva un valore superiore, pari al 12,1%. Tra gli individui che vivono nelle zone rurali la diffusione del fenomeno è più elevata (12,5%) rispetto agli individui che vivono nelle grandi città (9%), nelle città di medie dimensioni o nelle cinture urbane (9,6%). Sono in maggiore difficoltà le persone che vivono da sole o le famiglie mono genitoriali.
Il focus sui giovani
Un focus particolare dello studio riguarda i più giovani e cioè quei soggetti che, per crescere e svilupparsi, hanno maggior necessità di sfamarsi in maniera equilibrata e sana. Nel 2024 quasi 432mila minori di 16 anni (il 5,6%) presentano almeno uno tra i tre segnali di insicurezza alimentare specifica considerati per questa fascia di età, come non potersi permettere: frutta fresca e verdura una volta al giorno; carne o pesce, o un equivalente vegetariano, almeno una volta al giorno; di invitare a volte gli amici per giocare e per fare merenda o a pranzo e cena. Il fenomeno colpisce in maniera più significativa gli under16 che risiedono nel Mezzogiorno (8,7%), rispetto a quelli che risiedono nel Nord (4,8%) o nel Centro (1,9%). I minori che vivono con un solo genitore mostrano un rischio maggiore di insicurezza alimentare (7,8%) rispetto a quelli che vivono con entrambi i genitori (5,2%).
Dati che sollecitano una riflessione e un intervento a livello nazionale e sui territori.