Un’indagine condotta dal centro studi Guglielmo Tagliacarne per Unioncamere dimostra come il trend del valore aggiunto sia in fase calante nel Nord Italia.
Il valore aggiunto nel Nord Italia è in fase calante
La differenza tra il valore di un bene e il costo del servizio per produrlo cambia da territorio a territorio, e un’indagine del centro studi Guglielmo Tagliacarne per Unioncamere è riuscita a stabilire come nel Meridione il 2024 abbia visto un’accelerazione della crescita di valore aggiunto rispetto ai territori del Nord. La corsa del Sud ha visto infatti un aumento di ben 2,89% sull’anno precedente, nulla a che spartire con l’1,77% del Nord e decisamente più alto del valore della media nazionale (2,14%).
Sui valori assoluti il Nord rimane imprendibile
Il dato è da considerarsi ancora come il cambio di rotta in un trend che dovrà faticare molto per cambiare l’antica visione del Nord produttivo: è infatti in termini della ricchezza prodotta pro-capite dal valore aggiunto i valori delle regioni del Settentrione balza a 40.158 euro per persona, smarcandosi decisamente dal resto dello Stivale e dal Meridione in particolare, che rimane fermo a 22.353 euro.
Ma la questione rimane aperta
Sull’analisi del valore aggiunto diviso per province, nel complesso dell’economia nazionale (quindi senza divisione in settori) emerge ancora più chiaramente un rallentamento che riguarda i territori del Nord: al secondo posto della classifica delle 107 province italiane troviamo quella di Imperia, con una variazione del valore aggiunto ai prezzi base e correnti fra 2023 e 2024 del 4,29%, per un totale di 5 miliardi 747 milioni di euro. Ma per trovare un’altra provincia del Nordovest bisogna scendere fino alla 15ª posizione della classifica, con il Verbano-Cusio-Ossola e una variazione di 3,24% tra le due annate, per un totale di 4 miliardi e 238 milioni di euro. E non è finita: per trovare la terza provincia del Nordovest è necessario scendere fino alla 29ª posizione, con il territorio di Milano che tra il 2024 e il 2023 ha avuto una variazione di 2.95%, per un totale di più di 213 miliardi di euro.
La rimonta della “terra”
Da notare nel report di Unioncamere il dato record realizzato nel corso del 2024 del valore aggiunto del settore agricolo, con un aumento del 10,25% di ricchezza prodotta. Aumenta al punto da toccare vette mai raggiunte prima: sfiora infatti i 40 miliardi di euro, «il valore più alto da quando sono disponibili le serie storiche». La situazione è più rosea nel Centro/Sud Italia: «Aumenti record si registrano in Abruzzo (+31,17%) che conquista con L’Aquila, Pescara, Chieti e Teramo le prime quattro posizioni della relativa classifica provinciale».
Arretra invece l’industria
E’ del 4,1% la flessione registrata nel 2024 dal comparto industriale -estrattivo, manifatturiero e utilities – flessione che interrompe una crescita continua che era iniziata nel 2015 (salvo la parentesi del Covid nel 2020). «A fare eccezione – si legge nel report – sono solo otto province che chiudono lo scorso anno con un segno più, guidate da Reggio di Calabria (+3,08%), Viterbo (+1,64%) e Rieti (+1,60%). Un dato che desta preoccupazione, visto che proprio l’industria in senso stretto è stata negli anni un importante motore di sviluppo. Tra il 2000 e il 2024, infatti, nelle 16 province in cui è aumentata l’incidenza di questo comparto sull’economia locale si registra anche un incremento medio anno maggiore del valore aggiunto (+2,5%), con punte a Bolzano del +3,3%. Mentre nelle 91 province che, nello stesso arco temporale, hanno visto diminuire il peso dello stesso comparto l’aumento appare più contenuto (+2,2% annuo)».
Il commento del presidente Prete
«I dati del valore aggiunto – così il presidente di Unioncamere, Andrea Prete – dipingono un quadro in chiaroscuro. Il Sud conferma segni positivi di dinamicità ribaltando lo stereotipo di un’area strutturalmente in ritardo rispetto al resto del Paese. Ma il gap con il Nord resta ampio e la ricchezza prodotta per abitante nel Mezzogiorno rimane decisamente inferiore. Lo ha detto il presidente di Unioncamere, Andrea Prete, che ha aggiunto “preoccupa, inoltre, la flessione della manifattura, segno di una difficoltà che i dazi e le tensioni sull’export potrebbero accentuare con un impatto rilevante sul Pil. Anche per questo è quanto mai urgente una vera politica industriale capace di valorizzare le specificità territoriali e di rimuovere gli ostacoli alla competitività, a partire dal costo dell’energia ancora notevolmente più alto rispetto ai concorrenti europei».