I dazi Usa sui singoli prodotti servono a spaventare l'Europa: il parere della prof. di politica economica Alessia Amighini
L'opinione della docente di Politica economica all’Università del Piemonte Orientale, condirettore dell’Asia Centre e senior associate research fellow all’Istituto per gli studi di politica internazionale.

«I dazi non sono il maggiore dei mali. Magari fosse quello il problema...».

I dazi Usa servirebbero solamente per spaventare l'Europa, i problemi sono altri
Alessia Amighini, docente di Politica economica all’Università del Piemonte Orientale, condirettore dell’Asia Centre e senior associate research fellow all’Istituto per gli studi di politica internazionale, sposta l’attenzione fuori da un contesto più immediato e quotidiano per far comprendere le dinamiche in atto, che vanno oltre il gorgonzola, il riso o l’olio.
I dazi devono preoccupare davvero, dunque?
«La probabilità che vengano presi di mira i prodotti simbolo dell’Italia, e in particolare del Nordovest, è abbastanza bassa; e poi si tratta solo di misure plateali, della punta di un iceberg. Inoltre, il mercato americano è talmente ricco che un rincaro del 10-20% su una bottiglia di vino non si sente nemmeno. Non è questo il nodo».
Qual è allora?
«Per capirlo occorre andare a ritroso e analizzare il rapporto tra Cina e Stati Uniti. Il punto di non ritorno è una Cina che non esporta più terre rare e gli Usa che bloccano export e import con la Cina. quest’ultima è una bellissima ma debolissima baracca con spifferi e rattoppi, destinata a crollare se non mantiene i ritmi di produzione attuali. Ha già esaurito il filone dell’immobiliare, delle infrastrutture, ora produce ed esporta tecnologia verde ma se finisce anche questo boom, non rimane altro. Tanto più che non potranno mai consumare all’interno ciò che producono».
Questo cosa significa?
«Significa che i cinesi non possono rischiare di arrivare a quel punto, quindi si inventano i dazi ed è ridicolo. Sono tutti passi che servono ad arrivare a un G2, un tavolo a cui si siederanno Cina e Usa in privato a discutere come spartirsi le ricchezze. È palese che del resto del mondo ai due leader non interessa nulla. I dazi sui singoli prodotti sono solo una mossa per spaventare l’Europa».
E l’Europa come si sta muovendo e come può agire?
«In questo momento è “non pervenuta”. Abbiamo tutto “spuntato”: siamo ricattabili dagli Stati Uniti in quanto alleati e difesi da loro; hanno loro il monopolio delle società web e questo rappresenta un tabù per tutti. Siamo in scacco. Nei confronti della Cina, la Germania è legata al collo. I tedeschi trasferendo lì, per esempio, la Volkswagen pensavano di aver trovato il Bengodi e che i cinesi non sarebbero mai stati capaci di imparare. Abbiamo sotto gli occhi i risultati. Ora la Germania esporta più della Cina e questo la pone in difficoltà. Con paesi che dall’oggi al domani possono dire “non acquistiamo più” diventa un grande problema. L’Europa potrebbe anche avere delle opportunità, ma deve rendersene conto».
Per esempio?
«Se i ricercatori cinesi non possono più andare negli Usa, li porterei qui».
Quindi, per lei, parlare di gorgonzola e moda significa spostare l’attenzione dal problema reale?
«Sì. E poi non sono i dazi a farci male ma l’italian sounding (cioè l’uso di parole e immagini evocativi dell’Italia per promuovere e commercializzare prodotti, soprattutto agroalimentari, che in realtà non sono made in Italy: ndr). Sono state investite ingenti risorse dalla Farnesina per debellare il fenomeno ma in Usa mancano i controlli e non è cambiato nulla. Questo ci danneggia».
Come vede il futuro?
«Una domanda difficile in quanto è difficilissimo prevedere le mosse dei protagonisti. Siamo usciti da un sistema di regole del commercio internazionale, dei trattati, e siamo entrati in un gioco di potere puro e arbitrario. Cina e Usa non vogliono la terza guerra mondiale. Trump non è un folle, lo abbiamo definito tale perché magari non ci piace, ma è lucidissimo e nel primo mandato è stato provocato dai cinesi. Xi Jinping è altrettanto lucido. Il folle è altrove e per fortuna i cinesi tengono Putin per il collo, anche se sono preoccupati dal momento che Putin utilizza metodi del secolo scorso. Prima si arriva a quel tavolo a due e meglio è. Così salviamo anche il gorgonzola. Tanto più che non rappresenta l’obiettivo reale».