Desertificazione commerciale in 12 anni si sono spente 140mila insegne
L’analisi del centro studi di Confcommercio, in collaborazione con il Centro Studi Guglielmo Tagliacarne.

Desertificazione commerciale: sono 140mila i negozi che dal 2012 al 2024 hanno chiuso i battenti.
Desertificazione commerciale hanno chiuso 140mila negozi
Negli ultimi 12 anni, dal 2012 al 2024, sono migliaia le insegne che si sono spente, lasciando i negozi chiusi e al buio: sono spariti quasi 118mila negozi al dettaglio e 23mila attività di commercio ambulante. Lo dice l’analisi del centro studi di Confcommercio, in collaborazione con il Centro Studi Guglielmo Tagliacarne, su 122 città italiane, che parla di desertificazione commerciale, ma che racconta una situazione che va oltre alla questione economica e sfocia nel declino delle città. È proprio la rete di negozi nei centri urbani che più di altre realtà è in grado di dare la misura di un tessuto sociale attivo. Per intenderci, andare dal panettiere in fondo alla strada è diverso, dal punto di vista sociale, che prendere il pane al supermercato.
A incidere pesantemente è l’aumento degli acquisti online che, invece, stanno crescendo a dismisura: nel 2024 in Italia hanno superato i 58,8 miliardi di euro (+6% rispetto al 2023) e l’ecommerce ha ormai raggiunto un’incidenza del 13% sul totale retail.
La situazione nel Nord Ovest
Tra le 122 città messe sotto la lente di ingrandimento da Confcommercio, 14 sono lombarde, 8 piemontesi e 4 liguri. Quella che sta peggio, sotto questo punto di analisi, è Varese: tra il 2012 e il 2024 ha registrato una flessione del 31,7% delle attività commerciali presenti sul suo territorio. In termini assoluti, si è passati dalle 845 imprese di commercio al dettaglio del 2012 alle 603 dello scorso anno, con una perdita netta di 242 negozi. Un bilancio pesante che posiziona Varese al quarto posto della classifica nazionale delle città con maggiori chiusure, dietro Ancona, Gorizia e Pesaro, e davanti a un’altra città del Nord Ovest, Alessandria (-31,1%).
Il trend, comunque, interessa tutti i centri italiani. Novara occupa l'11° posto della classifica nazionale, tra Ascoli Piceno (con la quale è a pari merito con una flessione del 30%) e Pistoia, che ha registrato una perdita di esercizi commerciali del 29,9%. Tra le città che hanno perso meno attività nel corso dei 12 anni c’è La Spezia, che con una flessione del 25% occupa il penultimo posto nella classifica del Paese (per la cronaca, l'ultima è Venezia, che ha una flessione del 24,9%).
I dati assoluti
Trasformando le percentuali in numeri assoluti si riesce ad avere un'idea più precisa della situazione. Se a Genova sono 1.549 gli esercizi commerciali (senza contare alberghi, bar e ristoranti) che nei 12 anni hanno smesso l'attività, a Imperia sono stati 51, a La Spezia 345 e a Savona 239. In Piemonte, ad Asti sono stati 246 i negozi persi, a Biella 162. Mentre Torino ha perso 2.253 attività. In terra lombarda sono 223 a Bergamo i negozi chiusi, 226 a Pavia e 242 a Varese. Oltre a questi cali, l'analisi evidenzia che crescono le imprese straniere (+41,4%), a fronte di quelle a titolarità italiana, che decisamente annaspano (3,1%).
Il caso di Monza
La città di Monza nelle tabelle è l'unica a risultare in controtendenza, e non di poco. Se i centri lombardi perdono decine se non centinaia di attività commerciali, il capoluogo brianzolo vede un incremento di 972 imprese. L'analisi di Confcommercio e del centro studi delle camere di Commercio Tagliacarne individua una serie di sottosezioni per attività commerciali. Nel 2024 per quanto riguarda le attività del centro storico alla voce “Commercio al dettaglio al di fuori di negozi, banchi e mercati” le imprese registrate sono state 1.196, quando 12 anni prima erano solamente 19. «Si osserva effettivamente un aumento molto marcato – spiegano da Confcommercio - con un passaggio da 60 unità locali nel 2021 a 1.209 nel 2022 (fonte: ISTAT). Tuttavia, va segnalato che si tratta in gran parte di imprese cinesi, che si configurano spesso come “scatole vuote”, poiché, dal punto di vista occupazionale, si registra addirittura una diminuzione del numero degli addetti nello stesso periodo. Questo particolare andamento è dunque un’anomalia circoscritta a Monza, che spiega perché non si riscontri un dato simile nelle altre città analizzate».
La distinzione tra centro storico e non centro storico
Dall'analisi di Confcommercio è emerso come chiudano più negozi nei centri storici che nelle altre zone. Nello studio non è stata presa in considerazione la città di Milano «perché città multicentrica dove non è possibile la distinzione tra centro storico e non centro storico», spiegano da Confcommercio (che vale anche per l'assenza di Napoli e Roma, ndr). L'andamento di negozi e alberghi, le differenze tra centro storico e non centro storico, le altre zone delle città, sono gli altri aspetti sui quali si accendono i riflettori della ricerca: «La città e il suo centro storico sono una specificità italiana a cui la Confcommercio guarda con molto interesse e qualche preoccupazione. La realizzazione di questo Osservatorio consente di cogliere i cambiamenti della rete comunale di servizi al consumatore e, conseguentemente, anche di neutralizzare eventuali patologie (rischio di desertificazione commerciale e crisi delle economie urbane)».