L'intervista

Imprese da record con una gamba e 2 stampelle

«C’è tanto bello attorno: voglio continuare a viaggiare e conoscerlo».

Imprese da record con una gamba e 2 stampelle
Pubblicato:

Andrea Devicenzi è un uomo che ha voluto superare i suoi limiti compiendo imprese da record con una gamba sola e 2 stampelle.

Imprese da record con una gamba sola e 2 stampelle

Bisogna avere il coraggio di prepararsi per essere pronti. pronti alle sfide, pronti per le opportunità, pronti per gli obiettivi da raggiungere. Lo ripete più volte Andrea Devicenzi, premiato di recente all’Xposure International Photography & Film Festival per il suo docufilm «Crossing the North. Percorrendo la Scandinavia». Lui che a giugno vuole stabilire il record del mondo in bici su pista, pedalando per 24 ore e percorrendo più di 500 chilometri. Senza contare gli oltre 60 riconoscimenti e 20 premi nei festival internazionali per i suoi docu e altri record e altre medaglie già conquistati. E questo nella parte della sua esistenza che vive senza una gamba.

Chi è Andrea Devicenzi?

«Ho 51 anni, vivo a Martignana di Po, sono sposato con Jessica e ho due meravigliose bambine: Giulia e Noemi. Mi sono innamorato del judo a 5 anni e ho imparato il rispetto per il maestro, la disciplina, poi ho praticato atletica leggera, calcio, canoa fino al 28 agosto 1990».

Cosa è accaduto quel giorno?

«Un incidente: la mia moto contro un’auto, il ginocchio contro il fanale. Il giorno dopo non avevo più la gamba».

Come ha reagito?

«All’inizio ho creduto alla grande bugia di poter tornare normale con la protesi, poi ho accettato di avere gli occhi puntati addosso e me ne sono liberato: dal 1997 cammino con una gamba e due stampelle. Mi hanno salvato lo sport e la musica: 8 anni di chitarra e saxofono studiando al conservatorio di Parma, preparandomi per l’esame da maestro. E ho continuato a lavorare in un’azienda siderurgica, prima come operaio, poi con altri ruoli in una crescita di responsabilità».

E la bici?

«Nel 2007 sono arrivato a pesare 104 chili: una zavorra che mi provocava dolori alle articolazioni. Sono salito in bici per perdere peso velocemente. In pratica non sono più sceso. Ho iniziato con 10 chilometri, pensando che i 170 della gran fondo fossero il traguardo della vita, nel 2008 ho partecipato a quattro gran fondo».

Poi si sono moltiplicati i primati

«Nel 2010 sono stato in India toccando i 5.602 metri di altitudine. Nel 2011 ho percorso i 1.230 chilometri della Parigi-Brest-Parigi in 72 ore e nessuno dopo di me lo ha fatto».

Cos’è il progetto ‘22-‘26?

«Cinque imprese in bici che diventano cinque libri e 5 docufilm. Nel 2022 ho girato l’Islanda, l’anno successivo la Scandinavia, poi l’America da Chicago a New Orleans in 19 giorni; quest’anno percorrerò 1.300 chilometri in bici e 100 a piedi in Giappone sul cammino degli 88 templi e chiuderò nel 2026 con una meta che non posso ancora svelare».

Ha anche camminato molto

«La Via di Francesco, la Via Francigena, da Grado a Genova: sempre con una gamba e due stampelle!».

Ha un rimpianto?

«Non aver mai partecipato alle Paralimpiadi. Avrei voluto, ma devo essere realista: gli anni competitivi sono stati quelli tra il 2009 e il 2013 e non avevo il tempo di prepararmi bene, ora la sfida è con me stesso. Ho vinto tanto, anche un argento nel triathlon. In questa fase mi piacciono di più le avventure da progettare, mi piace vedere il corpo in salute, il miglioramento. Se mi mantengo così, anche a 70 anni potrò ancora salire in bici e viaggiare».

Quello che ha vissuto e imparato, ora lo trasmette. In che modo?

«Ero alla ricerca di qualcosa di diverso e sempre dal 2010 sono entrato nel mondo della formazione, tanto da frequentare un corso per diventare coach e a licenziarmi dal posto fisso. Partecipo a incontri motivazionali, entro nelle scuole: mostro subito ai ragazzi la mia difficoltà, non mi nascondo mai dietro a una cattedra. Parlo dell’incidente, ma anche delle opportunità che ho avuto e che mi sono creato. Mi rivolgono numerose domande, soprattutto su quello che gli altri pensano di me, se c’è una ricetta magica per fare quello che faccio».

Lei cosa risponde?

«Che non c’è. Occorre la motivazione. Lo sport insegna la costanza. Si semina tutti i giorni, si prendono bastonate, ma se studi, ti impegni, i risultati si raggiungono, Non esiste la fortuna e se ti chiamano per un’occasione, devi essere pronto. Non arriva tutto subito, serve pazienza. Si lavora per il futuro ma godendosi quello che accade giorno per giorno».

Cosa direbbe, se potesse, al ragazzo che è stato prima dell’incidente?

«Di andare piano in moto, forse, ma ho smesso di interrogarmi perché il passato non si può cambiare. Voglio ricordare quello che è accaduto per non dimenticare quanto la strada possa essere pericolosa; voglio ricordare gli insegnamenti. Nello stesso tempo, ho voltato pagina e non torno indietro».

I ricordi più belli?

«I 5.602 metri della cima indiana perché a quei tempi era pazzesco anche solo pensare di arrivarci e il mio piede nudo nell’acqua della Diamond beach in Islanda».

Il sogno?

«Dal punto di vista professionale, quest’anno, con la mia startup innovativa, lancio una stampella alla quale lavoro da 8 anni, la katana, in carbonio ed è davvero il sogno della vita. Poi desidero lavorare tanto per migliorare le mie condizioni di vita e godermi il qui e ora. C’è tanto bello attorno: voglio continuare a viaggiare e conoscerlo».