L'intervista

Quando il dolore diventa dono per gli altri: l’intervista a Ivana Maconi, fondatrice de “Una vita in rosa”

«Da quando ho fondato l’associazione, quindi da 9 anni a questa parte, mi sento di dire che oggi si riesce a pronunciare la parola cancro, con la consapevolezza che le speranze di vita sono aumentate e la medicina ha compiuto passi da gigante».

Quando il dolore diventa dono per gli altri: l’intervista a Ivana Maconi, fondatrice de “Una vita in rosa”

Travolgente, appassionata, con la volontà di donare e di donarsi e di costruire sempre più in grande, sempre più insieme.

Trasformare il dolore in dono per il prossimo: l’intervista alla fondatrice de “Una vita in rosa”

Ivana Maconi ha fondato, nel 2017, l’associazione «Una vita in rosa» con sede a Santa Margherita di Lissone (MB), e lo ha fatto quando la sofferenza per il cancro stava modificando il suo aspetto e, ancora una volta, tutta la sua esistenza. Ha iniziato con 5 amiche volontarie, ora sono 22 volontarie operose e 220 i soci. Ha iniziato con il dono di 80 visite senologiche in una giornata dedicata, ora sono 400.

Come è nata l’idea di una associazione?

«Dalla mia lotta personale. Nel 2009 mi hanno diagnosticato il primo cancro endometrio, curato e ripulito senza chemio. Sono andata avanti, sono diventata mamma di due splendide ragazze, ma lo stress fisico collegato a varie situazioni, tra le quali accudire mia madre per tre anni dopo un’emorragia celebrale, mi ha colpita nella parte femminile del seno: era il 2015 e sono stata operata velocemente, però ho dovuto intraprendere un percorso di chemioterapia durato tre anni. La vita mi aveva messo alla prova: dovevo trovare un senso. Ho capito che potevo donare me stessa alle donne che soffrivano come me. Avevo assaggiato il dolore, la paura di morire, il cambiamento. Dovevo metterci la mia faccia gonfia, la mia testa calva, la mia stanchezza. Così io ho fondato l’associazione quando non ero più io».

Ha scelto il nome e anche il logo, quali significati?

«Il rosa è il colore che si incontra in quel nastrino che parla di cancro, di sofferenza e di rinascita: così il nome è arrivato subito. Al logo ho pensato un po’ di più. Ero sul divano, disfatta dalla chemio, fissavo la parete. Mi sono focalizzata sulle mie scarpe col tacco che mi hanno sempre caratterizzata. Quelle scarpe tacco 12 con le quali soffri ma ti senti bellissima e potente, così come ti senti quando vinci la malattia dopo tanto dolore».

Quali sono le attività dell’associazione?

«Ho iniziato parlando di malattia ma anche di prevenzione ed è stata la carta vincente. Nel 2018, con Lilt, subito ho organizzato la prima giornata di visite senologiche gratuite e questo momento viene ripetuto ogni anno. Diffondo il messaggio di come si possa guarire dal cancro, affidandosi alla medicina, con la chiemio che rappresenta l’acqua pulita che purifica. Ho ricevuto aiuto da parte di tanti e pian piano le iniziative sono aumentate. Organizziamo tanti eventi, dai workshop alle serate di lettura, dalla marcia rosa a giugno alla Zumba per la vita, la prossima il 9 novembre, al nuovo palazzetto di Lissone per unire prevenzione e divertimento. E ancora, raccogliamo i capelli che le donne ci vogliono donare: divengono poi parrucche che vengono distribuite in maniera gratuita a chi ne fa richiesta. Sul territorio di Lissone, infine, abbiamo attivato un taxi rosa per accompagnare le donne a sottoporsi alle terapie. Insomma, facciamo rumore! Il mio è un dono e non ci si ferma. Ho però imparato a farmi aiutare».

Sono aumentati così i professionisti in associazione?

«Ho cercato una psicologa che potesse accogliere le pazienti prima, durante e dopo; la volevo speciale ed è arrivata. Anche lei ha avuto un cancro e possiede la sensibilità giusta per parlare e capire le malate oncologiche; si occupa anche dei nostri corsi yoga. Poi una nutrizionista biologa, sia per la parte di prevenzione sia per seguire le pazienti nel percorso, una psicomotricista fisioterapeuta e una danzaterapeuta. Un circuito operoso che lavora tutti i giorni».

Il territorio vi ha accolte in maniera positiva?

«Meravigliosa. Anche le amministrazioni comunali mi hanno subito sostenuta, abbiamo trovato sponsor preziosi come Esselunga e Odos. Da Lissone abbiamo cambiato sede a Santa Margherita perché gli spazi erano troppo stretti ma sto già lanciando l’appello per una nuova casa: abbiamo bisogno di spazi più ampi. Siamo tanti».

Come è cambiata la sua vita quotidiana?

«Prima lavoravo 10 ore al giorno come responsabile dell’ufficio commerciale di una vetreria di Macherio, ora ho un part-time. I miei datori di lavoro hanno capito, ma non sempre è così: ho conservato il mio livello pur riducendo l’orario e questo mi ha dato una forza incredibile. Dopo la lotta, non si è più le persone di prima, ci si stanca prima, si fa fatica, gli ormoni modificano il tuo corpo e i tuoi equilibri. Dopo aver toccato con mano la sensazione del “non ce la faccio” e percepito il tuo corpo dilaniato, hai il diritto di dire che sei tu ma non sei più tu».

Come si fa ad andare avanti?

«Non ci si arrende».

Lei è credente?

«Sì. Sono credente e sono arrabbiata per tutte queste prove. Ma non è colpa di Dio. Il cancro non guarda in faccia nessuno, non fa distinzioni di credo, di razza, di sesso. La fede mi ha aiutata a vedere uno spiraglio di luce, a mantenere la forza che mi permette di continuare».

La sua famiglia partecipa alla vita dell’associazione?

«Le mie figlie hanno vissuto tutto il decorso della malattia e mi hanno vista come la mamma colonna portante. Sara e Martina sono due volontarie operose. E mio marito? E’ disperato! Mi ha sempre supportata e c’è sempre, sia per montare il palco per la zumba, sia per tutta la parte amministrativa».

Aiutate anche i caregiver?

«L’associazione è un porto sicuro anche per le famiglie che soffrono, hanno paura, non sanno cosa fare, vanno aiutate. Il supporto psicologico che offriamo è anche per loro: 5 incontri gratuiti e poi prezzi calmierati. I professionisti donano le loro competenze e in questo modo ci sostengono».

Si sono scardinati dei tabù in questi anni?

«Da quando ho fondato l’associazione, quindi da 9 anni a questa parte, mi sento di dire che oggi si riesce a pronunciare la parola cancro, con la consapevolezza che le speranze di vita sono aumentate e la medicina ha compiuto passi da gigante».