Le imprese italiane lavorano sei mesi all’anno per il fisco e su questo il report dell’Osservatorio sul fisco della Cna «Comune che vai fisco che trovi» è stato chiaro.
Lavoratori irregolari ed evasori in Italia sono 2,5 milioni
L’analisi dell’Ufficio studi di Cgia (Associazione Artigiani e Piccole Imprese Mestre) spiega una delle ragioni: la presenza di almeno 2,5 milioni di evasori.
I contribuenti onesti, quindi, versano molte tasse perché ci sono tante persone che non le pagano o lo fanno solo parzialmente. Secondo le ultime stime dell’Istat riferite al 2022, infatti, sono quasi 2,5 milioni le persone fisiche presenti in Italia che sono occupate irregolarmente: quando operano in qualità di subordinati non sono sottoposti ad alcun contratto nazionale di lavoro; se, invece, lavorano in proprio, non possiedono la partita Iva. Triste record per il Nordovest in quanto, in valore assoluto, il numero più elevato è concentrato in Lombardia con 379.800 unità. Se, invece, si calcola il tasso di irregolarità, dato dal rapporto tra il numero di occupati irregolari e il totale degli occupati di ciascuna regione, sul podio sale la Calabria con il 17,1%; prima regione del Nordovest è la Liguria con il 9,3% (61.600 unità) che si classifica quindi 11ª tra le regioni italiane; subito sotto il Piemonte con l’8,3% (155.700 unità). Le tre regioni comunque si attestano al di sotto della media italiana pari al 9,7% con 2.485.100 di irregolari; la media del Nordovest è dunque dell’8% con un totale di 602mila irregolari sui 7.515.000 di occupati.
«Nel Documento di Economia e Finanza del 2025, si stima una pressione fiscale per l’anno in corso del 42,7%; un livello in lieve aumento di 0,1 punti rispetto al dato del 2024. Tuttavia, è necessaria una puntualizzazione – dice Cgia – va ricordato che la legge di Bilancio 2025 ha sostituito la decontribuzione a favore dei lavoratori dipendenti con una analoga misura che combina gli sconti Irpef con il “bonus” a favore delle maestranze a basso reddito. Mentre la decontribuzione si traduceva in minori entrate fiscali-contributive, il “bonus” (che vale circa 0,2 punti percentuali di Pil) viene contabilizzato come maggiore spesa e quindi sfugge alla stima della pressione fiscale. Pertanto, se tenessimo conto di questo aspetto, nel 2025 la pressione fiscale sarebbe destinata a diminuire, sebbene di poco, attestandosi al 42,5%. Affermare, quindi, che in questi anni sia aumentato il peso del fisco sul contribuente sarebbe fuorviante. L’incremento della pressione fiscale, infatti, non è ascrivibile a un aumento delle tasse, quanto a una pluralità di novità legislative di natura economica introdotte a livello politico».
Rispetto ai nostri principali partner economici, abbiamo una pressione fiscale superiore a quella tedesca di 1,8 punti e a quella spagnola addirittura di 5,4. Solo la Francia sta peggio di noi: la pressione fiscale a Parigi è superiore alla nostra di 2,6 punti. La media UE, infine, è inferiore a quella italiana di 2,2 punti.