Il caso

In 10 anni il Nordovest ha perso quasi 50mila imprese artigiane

Lo studio condotto dalla Cgia di Mestre.

In 10 anni il Nordovest ha perso quasi 50mila imprese artigiane

Imprese artigiane in calo nel Nordovest: sono quasi 50mila quelle che in 10 anni hanno chiuso i battenti in modo definitivo.

Emorragia di imprese artigiane nel Nordovest, la ricerca della Cgia di Mestre

Se ti serve un idraulico o un elettricista e abiti in Piemonte, ti conviene rassegnarti e aspettare. E’ infatti il Piemonte la regione dove, secondo uno studio della Cgia di Mestre, che ha elaborato i dati dell’Inps sulle imprese artigiane presenti in Italia, che si è registrato negli ultimi 10 anni il calo maggiore di imprese artigiane tra i territori del Nordovest. L’indagine della Cgia ha evidenziato come in 10 anni siano state poco meno di 50mila le imprese artigiane ad aver chiuso i battenti in maniera definitiva, con una variazione percentuale del 26%. Erano infatti 170mila nel 2014, ma nel 2024 ne sono rimaste quasi 125mila. «Possiamo affermare – così dall’Ufficio Studi della Cgia di Mestre – con grande preoccupazione che in due lustri quasi un artigiano su quattro ha gettato la spugna. Anche nell’ultimo anno la contrazione è stata importante: tra il 2024 e il 2023 il numero è sceso di 72mila unità (-5 per cento). La riduzione ha interessato tutte le regioni d’Italia, nessuna esclusa». In totale, in tutta Italia nel 2014 gli artigiani erano 1,77 milioni, ma 10 anni dopo la platea di professionisti è scesa a 1,37 milioni (il 22% in meno). In testa alla triste classifica delle regioni ci sono le Marche, dove la perdita nei 10 anni è stata del 28,1%. Al secondo posto l’Umbria, con il 26,9% in meno, e l’Abruzzo (26,8%). Il Piemonte è al 4° posto.

Le altre regioni del Nordovest

La Lombardia segue nella classifica della perdita di professionalità artigiane per regione al 9° posto, con la chiusura di quasi 75mila imprese in termini assoluti (il 22,6% del totale delle imprese lombarde). Subito dopo segue la Valle d’Aosta, che nonostante le dimensioni ridotte non è esente dal problema nazionale, perdendo 1.143 imprese (il 21,9%) e la Liguria è al 12° posto, con 11mila insegne che si sono spente (il 20,4%). Come partizione geografica, il Nordovest con il 23,4% segna un punto percentuale in più rispetto alla media nazionale. In totale sono quasi 131mila le imprese artigiane perse in quest’area geografica. Le perdite più contenute in Italia si sono avute nel Mezzogiorno, dove gli investimenti nelle opere pubbliche del Pnrr e le agevolazioni del Superbonus 110% hanno portato il comparto casa a frenare le perdite complessive degli artigiani.

Riparazioni e manutenzioni a rischio

Il progressivo invecchiamento della popolazione artigiana e la contrazione di giovani che si avvicinano a questo mondo lavorativo costituiscono gli elementi di un’equazione il cui risultato è molto preoccupante:

«E’ molto probabile – così nel rapporto del centro studi della Cgia – che entro un decennio reperire sul mercato un idraulico, un fabbro, un elettricista o un serramentista in grado di eseguire un intervento di riparazione/manutenzione presso la nostra abitazione o nel luogo dove lavoriamo sarà un’operazione difficilissima».

In Italia ci sono più avvocati che idraulici

Per dare un quadro efficace della situazione, gli esperti dell’Ufficio studi fanno un esempio sintomatico:

«Negli ultimi decenni – spiegano – tante professioni ad alta intensità manuale hanno subito una svalutazione culturale; questo processo ha allontanato molti ragazzi dal mondo dell’artigianato. Il tratto del profondo cambiamento avvenuto, ad esempio, è riscontrabile dal risultato che emerge dalla comparazione tra il numero di avvocati e di idraulici presenti nel nostro Paese. Se i primi sono poco più di 233mila unità, si stima che i secondi siano “solo” 165mila. E’ evidente che la mancanza di tante figure professionali di natura tecnica sia imputabile a tante criticità. A nostro avviso le principali sono: lo scarso interesse che molti giovani hanno nei confronti del lavoro manuale; la mancata programmazione formativa verificatasi in tante regioni del nostro Paese e l’incapacità di migliorare/elevare la qualità dell’orientamento scolastico che, purtroppo, è rimasto ancorato a vecchie logiche novecentesche. Ovvero, chi al termine delle scuole medie inferiori ha dimostrato buone capacità di apprendimento è “consigliato” dal corpo docente a iscriversi a un liceo. Chi, invece, fatica a stare sui libri viene “invitato” a intraprendere un percorso di natura tecnica o, meglio ancora, professionale; creando, di fatto, studenti di serie A, di serie B e, in molti casi, anche di serie C».