L'intervista

Una rettrice donna per la prima volta nella storia dell'Università di Torino: "Ragazze, rimanete ambiziose"

«Rendere l’università innovativa, sostenibile, più aperta e inclusiva, potenziare l’internazionalizzazione, procedere con la semplificazione e valorizzare tutte le componenti, incrementare didattica e ricerca. Siamo al lavoro per porre al centro della comunità accademica gli aspetti relazionali, sostenendo politiche di inclusione ed equità, in sinergia con il territorio e in linea con l’Agenda 2030».

Una rettrice donna per la prima volta nella storia dell'Università di Torino: "Ragazze, rimanete ambiziose"
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«Ragazze, rimanete ambiziose. Potete raggiungere i vostri obiettivi, conciliando carriera e famiglia».

E’ questo il messaggio di Cristina Prandi, eletta rettrice dell’Università di Torino: professoressa Ordinaria di Chimica Organica del Dipartimento di Chimica, è la prima donna a guidare l'Ateneo nei 621 anni di storia dell'Università, fondata nel 1404.  Nata nel 1965 a Bellinzago Novarese, dove ha la sua famiglia d’origine e dove torna spesso, Prandi ha sempre vissuto a Torino.

Com’era Cristiana da bambina?

«Sono stata fin da subito una bambina studiosa. Non so se per volontà personale o in quanto io abbia vissuto in una famiglia in cui lo studio era considerato prioritario. Certo è che non ho fatto fatica. Ho frequentato il liceo scientifico e mi sono laureata in Scienze biologiche».

La Chimica, dunque, è stato un amore maturato gradualmente?

«Ne sono stata folgorata durante il percorso universitario, tanto da occuparmi già di Chimica Organica con la tesi. Il mio background mi è servito a collaborare con successo in diversi progetti e ambiti: l’interdisciplinarità è la chiave per lavorare oggi e posso dire di essere stata antesignana rispetto a questo approccio».

Ha privilegiato le materie scientifiche: quanto sono ancora forti i pregiudizi rispetto alle donne e alle loro capacità nelle discipline Stem?

«Il pregiudizio riguarda la difficoltà percepita delle discipline Stem e spesso si ha una rinuncia a priori che ricade sulle ragazze. Ora è meno diffusa: però se a Chimica si ha una parità di iscrizioni tra ragazze e ragazzi, a Fisica e Informatica prevalgono ancora i ragazzi. Serve un percorso culturale che si sta seguendo ma che richiede ancora tempo e che deve iniziare alla scuola dell’infanzia. I pregiudizi li ho percepiti anche io e anche io avrei escluso delle opportunità».

Quali?

«Dopo la laurea, avrei scelto di iniziare a lavorare per un forte desiderio di indipendenza economica. Quando si è presentata la possibilità di un dottorato avrei rinunciato. E’ stata la mia famiglia a convincermi e quel dottorato, poi, mi ha indicato il percorso».

Quale consiglio, dunque, alle giovani donne? E agli uomini?

«I limiti possono essere superati, con competenza, determinazione, il sostegno di chi ci sta accanto. Questa elezione la vedo come l’inizio della normalità per cui il genere non rappresenta un ostacolo per ottenere la leadership. Invito gli uomini a essere alleati consapevoli e attivi affinché si possa costruire insieme un’istituzione più giusta. A tutti e a me stessa ricordo che qualsiasi cambiamento non può essere realizzato in solitudine: la responsabilità è grande».

Come è arrivata a candidarsi a rettrice?

«I valori di base sono quelli dell’ascolto, della trasparenza, dell’attenzione alle persone. Non si deve mai dimenticare perché e per chi si è alla guida di un Ateneo. Ho meditato molto prima di candidarmi e la motivazione è derivata, come per altre scelte che chiedevano un’assunzione di ruolo, dalla possibilità di migliorare qualcosa. Una convinzione che diventa un po’ una trappola... perché mi butto nelle sfide, mi metto a disposizione, al servizio, sempre in una prospettiva positiva. Amo profondamente il mio Ateneo che ha eccellenze e potenzialità che meritano di essere sviluppate».

Quali obiettivi?

«Rendere l’università innovativa, sostenibile, più aperta e inclusiva, potenziare l’internazionalizzazione, procedere con la semplificazione e valorizzare tutte le componenti, incrementare didattica e ricerca. Siamo al lavoro per porre al centro della comunità accademica gli aspetti relazionali, sostenendo politiche di inclusione ed equità, in sinergia con il territorio e in linea con l’Agenda 2030».

Quale il ruolo delle Università oggi?

«Fondamentale. In Italia e in ottica di internazionalizzazione considerato il contesto geo politico drammatico e la situazione di cui siamo testimoni impotenti per quanto riguarda gli Atenei degli Stati Uniti. Nell’immaginario collettivo gli Usa rappresentano un mito per la ricerca d’eccellenza e si resta dunque attoniti. L’Università deve rimanere presidio di conoscenza critica, di libertà di pensiero e democrazia. La polarizzazione e la disinformazione stanno prendendo il sopravvento e l’Università deve essere difesa, non come torre d’avorio chiusa su sé stessa ma in dialogo con la società come motore di giustizia sociale e ambientale. Occorre mantenere vivo il contraddittorio politico dentro l’Università e continuare a discutere e confrontarsi».

Quale dialogo tra Università e mondo del lavoro per evitare che la formazione sia avulsa dalle necessità occupazionali?

«Innovazione è anche lo sforzo per far dialogare questi due mondi e ci sono progetti importanti per creare spazi di collaborazione con le aziende, attraverso laboratori cofinanziati, rispetto a tematiche specifiche. Da sviluppare anche il sistema di apprendimento durante il corso di tutta la vita per rimanere aggiornati e al passo con i tempi. L’obiettivo alla base è fondamentale: formare persone che abbiano radicate competenze verticali ed estese competenze trasversali. L’interdisciplinarità non deve far perdere le conoscenze verticali. Un altro strumento importante sono i dottorati di ricerca: abbiamo tante richieste, ma il mondo industriale è ancora poco sensibile a questo grado di formazione e ciò ci porta a perdere eccellenze che si dirigono all’estero dove il dottorato viene riconosciuto anche a livello retributivo. In Italia manca inoltre il pezzetto della formazione tecnica: penso al Piemonte, alla sua eccellenza manifatturiera, e credo siano necessari percorsi intermedi che forniscano titoli specifici. Di sicuro sono da potenziare gli Istituti tecnici superiori».

L’Università italiana è competitiva?

«Viviamo un momento critico. Abbiamo Università pubbliche, storiche, molto prestigiose e non dobbiamo perdere questo prestigio. Il termine chiave è “qualità”. Se le Università pubbliche la perdono per mancanza di contributi, si rischia che quella qualità rimanga solo negli Atenei privati che però sono accessibili solo a pochi. Occorre fare attenzione».

Diventare rettrice era un suo sogno? Ne ha altri?

«Debbo ammettere che non era un sogno (ride: ndr) e non mi sarei mai immaginata questo ruolo per me, ma nella vita ci si trova spesso di fronte a sliding door, dei bivi, dei momenti imprevedibili. Non ho sogni. Ho un rimpianto, però».

Quale?

«Non aver trascorso un lungo periodo di ricerca all’estero quando sarebbe stato più semplice. Poi, con la cattedra e la famiglia, ho viaggiato spesso ma per tempi brevi e ho incrementato le collaborazioni internazionali. Anche per questo, motivo i miei studenti a scegliere un’esperienza lunga».

Le sue figlie seguono le sue orme?

«Sono impegnate in dottorati di ricerca ma non nella mia materia».

Come si concilia carriera e famiglia?

«La vita privata va sempre difesa. La mia professione ha impattato parecchio sulla famiglia però la vita privata rappresenta un momento di recupero da un contesto lavorativo sempre più impegnativo, per ridare equilibrio. Abbiamo bisogno di persone serene nei posti di lavoro. Quando parlo di vita privata, intendo anche un momento per leggere quello che si desidera: per me la lettura è un semaforo. Se sono troppo stanca non riesco a concentrami ed è il segnale che debbo rallentare».

I libri preferiti e quelli che ha sul comodino?

«Murakami è il mio autore di riferimento. Mi piacciono le saghe, i libri lunghi che assorbono. In questo momento sto leggendo “L’ottava vita” di Nino Haratischwili, scrittrice e drammaturga georgiana, che mi ha permesso di scoprire anche una cultura e un mondo che non conoscevo».

Piatto preferito?

«Il vitello tonnato, da vera piemontese».

Mare o montagna?

«Mare, mare».

Il luogo del cuore?

«C’è ma non glielo dico: fa parte di quella sfera privata da proteggere».