Settore Automotive e nuovi prodotti: investimenti fermi al palo
Molte imprese in sofferenza sono legate a Stellantis.

Gli investimenti per i nuovi prodotti nel settore dell'automotive sono fermi al palo: l'analisi dell'osservatorio Tea.
Settore Automotive e investimenti per nuovi prodotti: non ci siamo
Automotive: investimenti in nuovi prodotti fermi al palo, metà delle aziende italiane non ne prevede e chi lo fa, punta sulla mobilità elettrica. Stellantis rimane l’ago della bilancia ancora per molti fornitori. E’ quanto emerge dall’analisi presentata al ministero delle Imprese dall’Osservatorio Tea (guidato dal Center for automotive & Mobility innovation dell’Università Ca' Foscari Venezia e dal Cnr-IRCrES). La ricerca si basa sulle risposte a un sondaggio condotto nel 2024 a cui hanno partecipato 397 delle oltre 2.100 imprese. Dalle risposte emerge che il 48,1% delle aziende rimarrà fermo a livello di investimenti nel triennio 2024-2027, rinunciando a sviluppare nuovi prodotti in scia al clima di incertezza che si è generato in Italia sulla transizione tecnologica dei trasporti. A livello numerico, le aziende che continueranno a investire lo faranno guardando più alla mobilità elettrica (31%) che alle motorizzazioni endotermiche (20,9%). In termini di volumi di risorse, il 61,6% degli investimenti sarà rivolto a componenti che non sono collegati al tipo di alimentazione del veicolo e solo il 3,8% sul software, che rappresenterà invece uno dei principali terreni di sfida dei prossimi anni. Guardando alla transizione tecnologica in atto, il 66% delle imprese prevede che nel periodo considerato l’elettrificazione non avrà impatti sul portafoglio prodotti. Generalizzata anche la carenza di investimenti sul versante dell’innovazione di processo: il 55,2% delle aziende non ne ha in programma.
La propensione a dipendere di meno da Stellantis
In un quadro simile, alcuni elementi sembrano essere rilevanti soprattutto sul piano delle previsioni per il futuro: le multinazionali italiane mostrano una maggiore propensione all'innovazione e una minore dipendenza da Stellantis, con un focus su nuovi mercati esteri. Invece, le aziende più dipendenti da Stellantis, perlopiù di medie e medio-grandi dimensioni, Tier 1, e situate in Piemonte o in altre regioni del Nord Italia, innovano meno, rimanendo concentrate sul mercato locale. Fornitori medio-piccoli, dipendenti da Stellantis e localizzati nel Sud e nel Nord-Est, faticano a innovare e potrebbero non recuperare il divario senza interventi rapidi.
In cima alle preoccupazioni il nodo dei costi energetici
Cosa chiedono quindi le aziende per affrontare nel migliore dei modi la transizione e per preservare (o rilanciare) la propria competitività? In cima alle preoccupazioni della filiera c’è il nodo dei costi dell’energia, seguito dall’esigenza di un’accelerazione sull’adozione delle fonti rinnovabili, percepita come un elemento di competitività rilevante per via delle certificazioni sull’impronta carbonica richieste ai fornitori di componenti. Inoltre, si invocano politiche per la diffusione dell’infrastruttura di ricarica, per facilitare assunzioni e formazione del personale e per stimolare la domanda di veicoli elettrici. Tra le priorità indicate, infine, vi sono le azioni orientate a favorire la realizzazione di nuovi impianti, il rientro in Italia di attività produttive, la collaborazione tra soggetti diversi, gli accordi di innovazione e l’attrazione di nuovi investitori.
«Le crisi in atto sono da attribuire in prevalenza a una diminuzione significativa e generalizzata delle commesse che riguarda e i fornitori che hanno un alto volume d'affari con Stellantis - commenta il direttore dell’osservatorio Tea, Francesco Zirpoli - L’analisi identifica un numero molto significativo di imprese che presenta alte potenzialità di crescita. Sono quelle che investono più della media in innovazione e che dall’Italia sono cresciute verso l’estero». In questo contesto però «perdurano le difficoltà a trovare personale adeguato soprattutto per le posizioni più qualificate - sottolinea il responsabile dell’analisi dati, Giuseppe Calabrese - e una carente relazione con le istituzioni finanziarie per favorire l’innovazione».