Il personaggio

Intervista al patron del teatro Ariston Vacchino: "Il festival di Sanremo non stonerà"

«Carlo Conti ha avuto il merito di aprire il Festival ai giovani, facendone così emergere almeno tre o quattro e seminando, per gli anni a venire, un terreno sul quale Amadeus ha decisamente accelerato. Conti e la Rai ne hanno fatto un evento artistico, economico e finanziario di vertice, sicuramente. E con Amadeus la Rai ha portato il Festival per la prima volta fuori dall’Ariston con il palco in piazza Colombo».

Intervista al patron del teatro Ariston Vacchino: "Il festival di Sanremo non stonerà"
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Entro la fine di maggio (il 22 è stata calendarizzata l’udienza del Consiglio di Stato, mentre la settimana prima scade il termine per la presentazione delle offerte al Comune) si dovrebbe conoscere la sorte del Festival di Sanremo. Com’è noto una sentenza del Tar ha imposto al Comune di mettere in gara l’organizzazione dell’evento, che fino a quest’ultima edizione era organizzato praticamente in esclusiva dalla Rai attraverso una convenzione pluriennale con il Comune. Quest’ultimo, lo scorso 9 aprile, ha pubblicato la manifestazione di interesse.  Ci sono alcuni paletti, oltre alla lievitata richiesta economica del Comune al gruppo televisivo che si aggiudicherà l’evento (6,5 milioni di euro più l’1% degli introiti pubblicitari), che sembrano favorire nettamente la Rai. Ma l’incertezza è tanta e le schermaglie legali sono all’ordine del giorno. Ne abbiamo parlato con Walter Vacchino, storico patron del Teatro Ariston, che dal 1977, ospita la rassegna la cui sede, dal 1951 al 1976, era stata il Casinò di Sanremo.

Dottor Vacchino, in base alla sua esperienza, quali scenari si possono prevedere?

«Guardi, il Festival è un Made in Italy e quello tra Comune di Sanremo e Rai è un fidanzamento che dura ormai da 75 anni. Mi pare sia tempo di convolare a giuste nozze, valorizzando quello che è chiaramente un pregio. Credo che uno degli obiettivi primari, un valore aggiunto se vogliamo, sia di rendere il Festival un evento più europeo. Penso che il lavoro fatto fin qui dalla Rai debba ora proiettarsi nel futuro con ulteriori miglioramenti».

Quindi il Comune ha fatto bene a mettere a gara l’evento con una richiesta economica superiore?

«Ha previsto un adeguamento basato sul successo della manifestazione».

Un successo di pubblico e introiti pubblicitari, circa 65 milioni l’ultima edizione.

«Il successo penso che debba essere condiviso».

La Rai ha impugnato la gara e ha diffidato il Comune a concedere in licenza i marchi del Festival.

«Non voglio entrare nel merito giuridico di questa vicenda. È un ambito che appartiene ai due soggetti coinvolti».

Della candidatura, al momento solo giornalistica, di Torino a ospitare il Festival cosa ne pensa? Il sindaco Lo Russo ha offerto il Teatro Regio al posto del suo Ariston.

«I mercati sono liberi per definizione. Poi ci deve essere una logica di impresa. Torino può fare il Festival di Torino se lo ritiene… Poi capisco che ci possano essere delle impasse, ma si possono trovare le soluzioni».

Lei con la Rai ha avuto modo di affrontare l’argomento?

«No. Io ho “parlato” solo con il Comune di Sanremo, che mi ha chiesto di formulare una proposta per il noleggio del Teatro Ariston. Cosa che io ho fatto, come ho sempre fatto dal 1977 a oggi. Infatti l’Ariston è prevista come location delle prossime edizioni del Festival (tre, prorogabili di altre due, ndr) nella manifestazione di interesse pubblicata dal Comune. E mi fermo qui».

Preoccupato da questo susseguirsi di ricorsi e impugnazioni? O che il Festival possa davvero lasciare Sanremo?

«L’unica vera preoccupazione è che non si accorcino troppo i tempi per l’allestimento del teatro. Altre ipotesi non le cavalco proprio. Vede, non è che quando vent’anni fa hanno inaugurato la “Festa del Cinema di Roma” non si sono più fatti Cannes, Venezia, Berlino o anche solo il Torino Film Festival. Un Festival della musica italiana, come quello di Sanremo, fatto da un’altra parte sarebbe semplicemente un’altra cosa».

Gli sono piaciuti questi ultimi Festival? C’è una conduzione che ha preferito rispetto alle altre?

«Non faccio classifiche. Mai fatte. Ogni direttore artistico ha portato qualcosa. Fabio Fazio è stato un innovatore in quegli anni: nessuno aveva mai portato un personaggio come Mihail Sergeevic Gorbaciov sul palco dell’Ariston. Così come il presidente Sergio Mattarella con Amadeus. Prima volta di un Capo dello Stato al Festival. Sono cose che danno importanza e caratura all’evento, consacrandolo. Vorrei citare poi il primo Claudio Baglioni, straordinario».

Il Festival negli ultimi anni ha ampliato la sua platea dal punto di vista anagrafico. Di chi è stato il merito?

«Carlo Conti ha avuto il merito di aprire il Festival ai giovani, facendone così emergere almeno tre o quattro e seminando, per gli anni a venire, un terreno sul quale Amadeus ha decisamente accelerato. Conti e la Rai ne hanno fatto un evento artistico, economico e finanziario di vertice, sicuramente. E con Amadeus la Rai ha portato il Festival per la prima volta fuori dall’Ariston con il palco in piazza Colombo».

In quasi mezzo secolo avrà sentito migliaia di canzoni. La sua preferita cantata all’Ariston?

«È una canzone cantata da Jovanotti nel 2008, ma non era in gara, perché Lorenzo era ospite a Sanremo. Si intitola “A te”. Per il resto mi piacciono le canzoni dalle quali traspare serenità, gioia, felicità, come quest’anno “Tutta l’Italia”, la sigla del Festival di Gabry Ponte, o in passato “Il clarinetto” di Enzo Arbore, monumento all’ironia, o “Papaveri e papere” di Nilla Pizzi, la cui superficialità mascherava un’intelligente satira politica».

Walter Vacchino come si descriverebbe?

«Uno che sul lavoro cerca di trasmettere soprattutto un sorriso… Poi è vero che c’è anche il sorriso amaro, ma io sono stato formato dai film, fin da bambino. E nei film prevale quasi sempre il lieto fine. E questa storia del Festival sono sicuro che avrà il suo lieto fine».

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