Quel protocollo Var che non funziona: i dubbi sullo strumento
L'approfondimento sulla questione.

«Perché non lo hanno chiamato al Var?», «Ma perché non è andato al monitor a rivedere l'azione?». Alzi la mano chi non ha mai detto o sentito dire una frase del genere durante o dopo una partita. Perché quello del Var è uno dei temi caldissimi di ogni post gara, a livello ufficiale (da parte di allenatori e giocatori) o meno, dove con questa seconda accezione si intende ogni discussione tra colleghi e amici nei più svariati contesti, dal bar all'ufficio, al divano di casa.
La questione resta seria e più passano gli anni più aumentano i dubbi
Ma la questione resta seria, e più passano gli anni (il Var è stato introdotto a partire dal campionato 2017/18) più aumentano i dubbi, paradosso di una situazione che anziché diventare più semplice, si complica. Ma perché? Abbiamo scoperto che tra i grandi colpevoli c'è "il protocollo", ovvero quell'insieme di regole che i varisti di Lissone (dove si trovano le sale Var collegate con i campi) devono applicare nello svolgere il proprio compito. Così sappiamo che, “da protocollo”, il Var non può e non deve intervenire sulle seconde ammonizioni, oppure sulla concessione sbagliata di un calcio d'angolo. Ecco, allora, che solo per restare su casi diventati di scuola, Tomori del Milan si è preso un’ingiusta espulsione a Empoli, perché, nonostante il calciatore avversario fosse in fuorigioco, il guardalinee non l'ha segnalato e a quel punto il Var non è potuto intervenire sul provvedimento perché scaturito da un secondo cartellino giallo. Oppure quanto capitato in Inter-Fiorentina, quando i nerazzurri hanno beneficiato di un calcio d'angolo a favore (da cui è scaturito il gol del vantaggio) nonostante il pallone fosse prima uscito sul cross di Bastoni. E il Var zitto, perché secondo il protocollo (sempre lui) quell'episodio non rientra nelle casistiche possibili in cui può intervenire.
Il rischio di eccedere dalla parte opposta
Poi, però, si rischia di eccedere dalla parte opposta, con chi, erroneamente, mette in discussione persino il fuorigioco, finora una delle poche cose che metteva tutti d'accordo. È successo dopo Milan-Como, quando l'allenatore dei lariani Fabregas se ne è incautamente uscito con un «Per me il nostro secondo gol non è fuorigioco, perché se fermano un millisecondo prima questo non è fuorigioco. Fermano quando gli piace a loro», salvo dimenticare che con l'introduzione del fuorigioco semi-automatico nessuno "ferma" nulla, se non il computer stesso, che mostra delle bandierine segnalatrici ai varisti, chiamati a verificare soltanto se la macchina ha correttamente individuato il momento in cui la palla si stacca dal piede.
E chissà che le ultime novità (la scritta sul tabellone per spiegare il motivo per cui è in corso un check al Var e, soprattutto, gli spettatori allo stadio possono ascoltare dalla viva voce dell’arbitro la decisione presa) non permettano di fare un altro passo avanti, almeno nella comprensione da parte di chi guarda.
Se poi si volesse mettere mano al famoso “protocollo” forse si risolverebbero parecchi problemi, perché dopo otto anni di Var tutti hanno individuato i difetti principali, e far finta di niente sarebbe inspiegabile. Un po’ come quando tifosi e appassionati si chiedono: «Ma perché non lo hanno chiamato al Var?».