Il personaggio

Andrea Tarella, l'artista che vive con un drago barbuto in casa e si ispira alla natura

L'artista si racconta a tutto tondo.

Andrea Tarella, l'artista che vive con un drago barbuto in casa e si ispira alla natura
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Si definisce silenzioso, paziente, timido ed entusiasta. Andrea Tarella, nato il 29 novembre 1982, ha una sensibilità delicata e una capacità di trasformare in immagini e in sogni tutto quello che desidera. Vederlo disegnare è un’esperienza magica.

Quando ha capito che il disegno era la sua strada?

«Sarà banale come risposta, ma ho sempre disegnato fin da bambino. Non ho mai smesso».

Quale il percorso scolastico e professionale?

«Ho frequentato il liceo scientifico biologico a Verbania dove sono nato e cresciuto: la mia famiglia pensava che il liceo artistico non desse sufficienti garanzie per trovare impiego e poi avevo una spiccata passione per il mondo naturale e animale. Tra l’altro il mio insegnante di educazione artistica mi ha spesso ripetuto che il disegno non era la mia strada... Di seguito mi sarei sentito in difetto se mi fossi iscritto all’Accademia senza la tecnica di base e così mi sono laureato in Scienze della comunicazione e in Scienze dell’educazione a Milano, dove mi sono trasferito, coltivando la passione per il disegno da autodidatta».

Cosa consiglierebbe a un giovane appassionato di disegno come lei?

«Di iscriversi all’artistico e poi all’Accademia, ma soprattutto di trovare il proprio modo di esprimersi, il proprio stile e la propria esigenza creativa».

Ha lavorato a lungo come educatore: quale anima prevale? Educatore o artista?

«Fino al 2021 la mia vita era divisa a metà tra le due professioni. Sono stato accanto a ragazzi disabili, ad adulti problematici, alcolisti, ex tossici. Per dieci anni mi sono occupato di progetti didattici ambientali e di educazione alla cittadinanza nelle scuole e ho iniziato a illustrare io stesso i materiali che occorrevano: è stato il primo passo per trasformare una passione in un lavoro. Ho investito tanto nella professione di educatore, mi ha dato tanto, penso anche una parte dell’immaginario da cui attingo per disegnare. E poi, scout una volta scout per sempre: scout o educatore è uno stile di vita. C’è tutto quello che sono stato ed è imprescindibile. Ammiro chi ha seguito la via maestra dell’Accademia, io sono arrivato per vie alternative ma d’altra parte tendo anche ad annoiarmi nel ripetere le stesse cose».

Dopo il Covid, però, ha fermato metà della sua vita, quella da educatore, e ha continuato con la metà da disegnatore.

«Stando chiuso in casa mi sono concentrato sul disegno e mi sono detto: proviamoci. Sono entrato negli scout giovanissimo, animatore dai 16 anni, dai 16 ai 40 educatore. Rimane una parte fondamentale della mia vita che al momento non credo di riprendere, ma l’occhio e l’attenzione a certi temi restano».

Nel lungo percorso dedicato all’arte, vi è stato un momento di svolta?

«Due episodi. Ho preparato un mazzo di rose di cartapesta come regalo di compleanno di gruppo per un amico che collaborava con Elio Fiorucci. Per caso, Fiorucci l’ha visto, ha chiesto chi lo avesse realizzato e mi ha prenotato 300 rose per il giorno dopo. Alla prima Fashion night a Milano sono rimasto poi in negozio dalle 19 all’una di notte a disegnare acquerelli per il clienti, accanto a Fiorucci che salutava e stringeva mani. Il secondo momento è stato con Prada: cercava illustratori emergenti per il lancio di una linea di occhiali. Ho inviato il portfolio, ho sostenuto dei colloqui e sono stato scelto. Anni 2010-2011. Sono passato da zero a mille: grazie a una campagna esplosiva i miei disegni si vedevano in tutto il mondo, in tutti gli allestimenti, le vetrine, sui giornali. Lì ho pensato che disegnare potesse essere il mio lavoro e mi sono fermato. Ho iniziato la gavetta con incarichi piccoli, strutturandomi e cambiando anche approccio al mestiere».

Cosa prova mentre disegna?

«Se disegno per lavoro debbo rispettare scadenze, essere coerente con la committenza e di conseguenza resto più concentrato. Come sottofondo ho comunque sempre musica, film, serie tv. Quando disegno per me stesso le emozioni sono diverse, è catartico e mi sento in pace, rispondo alla mia esigenza creativa, alla mia urgenza».

La sua giornata tipo?

«Tendo a essere una persona disorganizzata e disordinata ma la formazione in laboratorio mi aiuta nell’impormi disciplina e routine maniacale che mi permette di rispettare le consegne. Mi alzo alle 5, accudisco gli animali che ho in casa, preparo i materiali che mi occorrono, esco per bere un caffè al bar, inizio poi a lavorare fino all’ora di pranzo dove mi concedo un’ora di pausa e di silenzio anche telefonico. Riprendo fino all’ora di cena con una pausa per la palestra e, se ho scadenze lavorative, proseguo alla sera. Sabato, domenica, festività comprese. Mi sono imposto di non lavorare più tutta la notte, senza dormire per giorni di fila: non ho più l’età (ride: ndr) e poi utilizzare la china richiede precisione e affatica gli occhi. In generale la frenesia ha toccato tutti i settori, le richieste più stringenti sono di sicuro quelle del mondo della moda. Negli anni, per fortuna, chi mi cerca sa quello che faccio e come e quindi posso procedere con tempi giusti. Quando sono in giro, porto sempre con me un album da disegno e un libro da leggere: spero che le persone siano in ritardo per riuscire a disegnare o leggere per me».

Ha accennato agli animali di casa, ne ha molti?

«Ho un drago barbuto, un’iguana che si chiama Vivienne: doveva fermarsi poco ma è divenuta la regina della casa da 16 anni. Poi due conigli nani, due canarini, due tartarughe di terra, quattro galline e un fagiano. Vivono in giardino o in ambienti a loro dedicati. Ho scelto le galline, gli altri mi sono stati regalati, il fagiano è qui per una scommessa».

Quale?

«Colleziono uova colorate. Ne volevo comperare due di fagiano molto particolari, il venditore non poteva darmene meno di otto. Due le ho svuotate per conservarle. Le altre le ho messe con le galline, scommettendo che mai sarebbero state covate... Sono nati sei fagiani: ho tenuto quello tutto nero e gli altri li ho affidati a chi vive in campagna».

Tornando alla parte artistica, qual è il suo lavoro del cuore?

«Difficile indicarne uno. Ho avuto tantissime “prime volte”. Di sicuro Prada. E la decorazione di un tram commissionata da Agnona: non credevo di riuscire, mi sono fidato della fiducia che hanno riposto in me ed è stata un’emozione grandissima vedere il risultato. Il tram numero 1 aveva il capolinea proprio sotto casa mia e poi attraversava tutta la città di Milano da NoLo a Quarto Oggiaro, passando per il centro: una meraviglia. Penso poi ai cinque anni di collaborazione con Gucci nel periodo in cui il direttore creativo era Alessandro Michele: per un invito ho realizzato un teatrino e vederlo “montato” è stato stupendo. Ogni progetto nuovo mi ha permesso di crescere stilisticamente e umanamente».

Come definirebbe il suo stile?

«Il mio tratto distintivo è rappresentato dalle componenti della natura che inserisco: piante, fiori, animali, e poi dall’utilizzo di china e acquarelli. Spesso mi dicono che possiedo un tratto femminile, ma fatico a comprendere il senso. Sorrido quando lo sento».

Il sogno nel cassetto?

«Mi sarebbe piaciuto realizzare qualcosa relativo al mondo della musica, come le copertine dei cd, ma tutto è cambiato; credo di aver perso quel treno e mi spiace. In questo momento penso che vorrei continuare a fare ciò che faccio per tantissimo tempo. Se invece dovessi dire dei nomi della moda con cui mi piacerebbe collaborare, allora sceglierei Hermès e Comme des garcons».

Uno dei suoi sogni, poi, l’ha realizzato di recente, giusto?

«Sì, ho illustrato il libro per bambini scritto da Donatella Di Pietrantonio, “Lucciole, squaletti e un po' di pastina”».

Come è nata la vostra collaborazione?

«Ho realizzato il manifesto per il Premio Strega 2024 e ho seguito alcune tappe fino alla proclamazione. Ho conosciuto Donatella, che poi lo Strega lo ha vinto, e “ci siamo voluti bene”. Lei aveva scritto il testo e ha chiesto a Salani se potessi essere io l’illustratore. Ed eccoci in libreria. La prima volta che l’ho letto, ho pensato fossero piccole storie per piccoli lettori; ma a ogni rilettura trovo significati stratificati, chiavi di lettura diverse che portano a dire “non è solo un libro per bambini”».

Ora è felice?

«Sì e mi sento molto fortunato. Mi sono impegnato molto e in questi 25 anni ho incontrato tante persone che hanno creduto in me, che hanno investito su di me e non smetterò mai di ringraziarle».

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