Inchiesta

Slow Food: "Nel mercato globale la qualità e l’artigianalità si scontrano spesso con logiche economiche spietate"

Il cibo come valore, benessere, felicità e futuro. Roberto Costella, presidente di Slow Food Piemonte e Valle d'Aosta e Barbara Nappini, presidente di Slow Food Italia raccontano la visione che da anni promuove il movimento in quanto oggi il cibo è molto più di un semplice bisogno biologico.

Slow Food: "Nel mercato globale la qualità e l’artigianalità si scontrano spesso con logiche economiche spietate"
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L'intervento di Slow Food sulla situazione degli annunciati dazi Usa per i prodotti agricoli dell'Unione europea.

Slow Food sui dazi Usa, le logiche economiche spietate penalizzano qualità e artigianalità

Il cibo come valore, benessere, felicità e futuro. Roberto Costella, presidente di Slow Food Piemonte e Valle d'Aosta e Barbara Nappini, presidente di Slow Food Italia raccontano la visione che da anni promuove il movimento in quanto oggi il cibo è molto più di un semplice bisogno biologico: è cultura, identità, economia e, sempre di più, una scelta etica. La filosofia Slow Food risponde all’esigenza di sapere da dove proviene il cibo, chi lo produce e con quale rispetto per la terra e per le persone. Da quasi 40 anni il movimento ha individuato nel cibo uno strumento potentissimo di cambiamento che attraversa ogni aspetto della vita: l’azione politica, la dimensione ambientale, il settore economico, la sfera sociale, il valore culturale e, ultima non per importanza, la salute. Slow Food si impegna, dunque, a diffondere consapevolezza coinvolgendo milioni di persone in 160 Paesi del mondo grazie ai numerosi progetti curati da una rete di attivisti, produttori, cuochi, insegnanti.

Quanto la qualità vince sulle logiche economiche?

Costella: «Nel mercato globale la qualità e l’artigianalità si scontrano spesso con logiche economiche spietate. Il made in Italy agroalimentare è un patrimonio da difendere e i consumatori sono sempre più disposti a pagare un prezzo equo pur di avere prodotti autentici, sani e non contraffatti. Certo, la paura dei dazi e delle politiche protezionistiche esiste: frenare la libera circolazione di eccellenze artigianali sarebbe un duro colpo. E qui entra in gioco un altro fattore insidioso: il fenomeno dell’Italian Sounding. Se rendiamo più difficile l’accesso ai veri prodotti italiani, si favorisce la diffusione di imitazioni che nulla hanno a che fare con l’originale. Proteggere i nostri prodotti significa tutelare un’intera economia locale, fatta di produttori di piccola scala che tramandano saperi antichi e garantiscono qualità. Pensiamo ad esempio al Piemonte, dove contiamo ben 37 Presìdi Slow Food, testimonianze viventi di una biodiversità che va protetta».

Nappini: «Il famoso patrimonio di agrobiodiversità e la ricchezza gastronomica di cui si va giustamente fieri nel mondo sono da tutelare. C’è bisogno di capire il valore del cibo: non tanto il prezzo, ma il valore. Non si può parlare di qualità, di made in Italy, di giustizia sociale pretendendo poi prezzi bassi della materia prima: il cibo, a differenza di ogni altra merce, diventa noi! I dazi rappresentano senza dubbio una preoccupazione, soprattutto per quanto riguarda la protezione delle piccole produzioni locali e le filiere corte. Per questo il tema va affrontato a livello comunitario, prevedendo l’attivazione di sostegni economici capaci di premiare modelli di produzione equi e sostenibili, e creando politiche internazionali che permettano a questi prodotti di trovare spazio nel mercato globale, senza comprometterne l’identità».

Quale visione necessaria per il futuro legata alla produzione, all’agroalimentare, al consumo, e quali timori?

Costella: «Il futuro del cibo (e del mondo) dipenderà dalle scelte di oggi. Abbiamo davanti a noi una sfida cruciale: rendere il sistema alimentare sostenibile, equo e rispettoso della biodiversità e disponibile a tutti. Serve una produzione che non distrugga, ma rigeneri, che rispetti i cicli naturali e valorizzi il lavoro dei piccoli produttori. Un consumo consapevole, che non si lasci abbagliare dalla comodità del cibo industriale, ma sappia riconoscere il valore dell’artigianalità e della stagionalità. Il timore più grande? Che l’agroalimentare finisca completamente nelle mani di pochi colossi, con la conseguente perdita del sapere contadino e della cultura gastronomica locale. Se non investiamo nella trasmissione di questi saperi, rischiamo di perdere non solo prodotti straordinari, ma anche il racconto di chi li ha custoditi per generazioni. Chi oggi conosce davvero la differenza tra un formaggio a latte crudo come il Macagn o il Castelmagno d’Alpeggio e uno pastorizzato?»

Nappini: «Non abbiamo timori: ci guida la fiducia nel prossimo, nella forza delle idee e nel potere degli esseri umani di incidere nel corso degli eventi. Certo, siamo consapevoli dell’urgenza di cambiare modello: quello che ci ha condotto a questo livello di degrado ambientale (deforestazione, perdita di biodiversità ed emissioni di gas serra), allo sfruttamento scellerato di risorse, al monopolio di poche enormi multinazionali, quello che prevede uso e abuso di pesticidi e fertilizzanti con gli effetti risaputi sulla salute, che genera e tollera povertà e disuguaglianze sociali con conseguente insicurezza alimentare per milioni di persone. Ma noi possiamo scegliere cosa mangiare, e con esso, quale filiera sostenere, e anche come stare al mondo e quale idea di mondo per le generazioni future. Pensando a loro e garantendo a tutte e tutti strumenti di cultura e consapevolezza, possiamo disegnare un futuro migliore, anche a partire dal cibo».

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